LUNGHI PROCESSI E STRETTE CARCERAZIONI
In Italia i processi in
campo civile, penale e tributario sono purtroppo lenti e spesso impiegano
diversi anni per concludersi. Questa causa è stata giudicata dalla Corte Europea di Strasburgo del Consiglio
d’Europa (quest’ultimo non è l’Unione
Europea) violante l’articolo 6 della
Convenzione dei Diritti dell’Uomo, il quale afferma che tutti i cittadini
hanno diritto a processi in tempi corretti.
Dopo molte condanne in
merito subite dallo Stato Italiano per azione del suddetto organo
internazionale giudicante, il legislatore del nostro Paese ha deciso di
introdurre la Legge 24 marzo 2001, n. 81,
che stabilisce dei periodi equi per la conclusione dei processi, sia vinti che
persi. Tali indici si identificano in tre anni per il primo grado di
giudizio, due per il secondo ed uno per il terzo ed ultimo.
Questa domanda di risarcimento deve essere eseguita entro sei mesi dalla
conclusione dello stesso. I danni relativi possono essere di tipo
patrimoniale e non patrimoniale. Il primo caso si ha quando
l’eccesiva durata del processo ha causato alcune mancanze economiche al
richiedente come: la perdita di stipendi od introiti diversi, costi vari
relativi, etc.. Il secondo fattore si può identificare in condizioni di
sofferenza patite dallo stesso ricorrente che, ai sensi della costante
giurisprudenza della Corte Europea del
Diritti dell’Uomo, è scontato e normale che tali situazioni di disagio si
verifichino nei confronti di chi subisce un lungo processo e pertanto non è
necessario comprovare questi fatti durante la causa in questione. Il
risarcimento per quest’ultima condizione è stato definito in una media tra i mille
ed i millecinquecento euro per ogni anno eccedenti i parametri temporali
suddetti.
Ovviamente, se la
giustizia italiana non vuole riconoscere tali indennizzi, si può svolgere un
ulteriore ricorso alla Corte Europea di
Strasburgo.
Per quanto riguarda la
carcerazione, è noto sapere che da tempo nelle galere italiane esiste un certo
sovraffollamento. Il suddetto organo giudicante internazionale con la Sentenza del 16 luglio 2009, ricorso
22635/2003, ha dichiarato che, per il rispetto dei diritti umani
riconosciuti dall’articolo 3 della Convenzione correlata, ogni
detenuto deve avere almeno a disposizione sette metri quadrati nella
rispettiva cella di detenzione, come stabilito in precedenza dal Comitato del Consiglio d’Europa per la
Prevenzione della Tortura. Difatti, il prigioniero delle carceri italiane
che ha svolto il connesso ricorso ha condiviso una cella con altre persone,
avendo a disposizione meno dello spazio minimo succitato. Il risultato è stato
quello che la detta persona ha ottenuto un indennizzo di mille euro per un
periodo di detenzione nelle medesime condizioni calcolato per circa un anno di
relativo tempo.
Di recente, anche la Suprema Corte di Cassazione Italiana ha
emanato delle sentenze che hanno ricalcato la suddetta pronuncia della Corte Europea di Strasburgo.
Con tutto questo è
evidente che se si è stati vittime delle condizioni sopramenzionate, si può
benissimo chiedere dei risarcimenti in merito.
Scritto il 6 ottobre 2012