ALTRA LUCCIOLA GRAZIATA DALLA CASSAZIONE
Con la Sentenza n. 10593/2015 la Corte di Cassazione ha affermato
nuovamente che il Foglio di Via
Obbligatorio (D.Lgs. 159/2011) non è applicabile
alle prostitute da strada, se nelle relative motivazioni viene indicato come
elemento pericoloso per la pubblica sicurezza il mero ed unico esercizio della
connessa attività, senza l’identificazione di concreti sospetti relativi alla
commissione di reati, ad esclusione degli illeciti amministrativi, pericolosi
per la pubblica sicurezza e non per la pubblica moralità.
In questo modo
il relativo ricorso svolto dal Procuratore Generale di Brescia, contro la
relativa decisione assolutiva del Giudice delle Indagini Preliminari della
medesima città, è stato respinto.
Si elenca di
seguito il testo della succitata Sentenza.
Penale Sent. Sez. 1 Num. 10593 Anno 2015
Presidente: S. M. C.
Relatore:
C. L. P.
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI BRESCIA
nei confronti di: C. A. nata il (omissis) avverso la sentenza n. 16020/2012 GIP TRIBUNALE di
BRESCIA, del 14/05/2013 visti gli atti, la sentenza e il ricorso udita in
PUBBLICA UDIENZA del 17/09/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. L. P.
C. rp
Udito il Procuratore Generale in persona del
Dott. che ha concluso per
Udito, per la parte civile, l'Avv
Uditi difensor Avv.
RILEVATO IN FATTO
Con sentenza in data 14.5.2013 il GIP del Tribunale di
Brescia assolveva C. A., perché il fatto non sussiste, dal reato di cui
all'art.76/3 D.L.vo 159/2011, accertato il 6.8.2012.
La predetta era accusata di aver contravvenuto al provvedimento del Questore di
Brescia in data 9.7.2010, poiché aveva fatto ritorno nel Comune di Brescia,
nonostante il divieto impostole per il periodo di tre anni. Dalla suddetta
sentenza risulta che il Questore di Brescia aveva emesso il suddetto
provvedimento, dopo che la predetta, nel corso di un controllo, era apparsa
dedita all'attività di meretricio sulla pubblica via, desunta da atteggiamenti
che, oltre ad essere percepiti dalla moralità pubblica come indecenti e
indecorosi, creavano concreto pericolo per la circolazione stradale e
soprattutto per la sanità pubblica, in quanto detta attività veniva esercitata
in zone frequentate da famiglie con bambini.
Il GIP riteneva illegittimo il provvedimento del
Questore, poiché l'imputata non risultava, dalla motivazione del provvedimento
del Questore, dedita alla commissione di reati che offendono o mettono in
pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o
la tranquillità pubblica, ma risultava solo dedita all'esercizio della
prostituzione sulla pubblica via, attività che di per sé non costituisce reato.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione
il Procuratore generale di Brescia, chiedendone l'annullamento, con un primo
motivo, per erronea applicazione della legge penale. Il ricorrente premetteva
che non erano mutati, rispetto alla legge 1423/1956, i
soggetti destinatari del nuovo Codice Antimafia di cui
all'art.1 lettera c) del predetto Codice, e quindi doveva essere ancora
considerata valida l'interpretazione della suddetta norma data dalla Corte di
cassazione con sentenza n.4820 del 25.2.1972 (L'accertato esercizio della
prostituzione può valere a far rientrare un soggetto in una delle categorie
contemplate nell'art 1 della legge 27 dicembre 1956,n.1423,nna tale attività
non può, di per se sola, giustificare il provvedimento di rimpatrio, per adottare
il quale, come si deduce dal disposto dell'art.7 dell'indicata legge, occorre
che la pericolosità della prostituta risulti dalle modalità specifiche e
peculiari dell'esercizio del meretricio stesso, come nel caso in cui si
eserciti la prostituzione con ostentazione scandalosa nelle pubbliche vie,
poiché, in tal caso o in casi analoghi da accertare di volta in volta e da
indicare specificamente nel provvedimento del questore, la prostituzione cessa
di essere un fatto meramente privato e rientra nelle ipotesi di cui al
combinato disposto dagli artt. 1 e 2 della legge n 1423 del 1956).
Il provvedimento del Questore, quindi, avendo fatto
riferimento ad un esercizio della prostituzione nella pubblica via e con
atteggiamenti provocatori, non era inficiato dai vizi (violazione di legge ed
eccesso di potere) indicati nella sentenza impugnata, poiché un'attività di
meretricio, come descritta nel provvedimento del Questore, poteva
plausibilmente comportare la non occasionale consumazione di reati di atti
osceni, in quanto notoriamente i rapporti mercenari vengono consumati
all'interno di autovetture in luoghi pubblici, e risultare pericolosa, oltre
che per la sanità e la tranquillità pubblica, anche per l'integrità fisica o
morale dei minorenni, i quali possono anche casualmente assistere all'attività
suddetta.
Con il secondo motivo di ricorso è stata dedotta la
mancanza di motivazione, poiché il GIP aveva omesso ogni altra valutazione di
merito, limitandosi a disapplicare il provvedimento del Questore sulla base
degli errori di diritto messi in evidenza con il primo motivo di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Il ricorrente erroneamente ha ritenuto che fosse
ancora valida la massima di una sentenza di questa Corte emessa nell'anno 1972,
affermando che da allora non sarebbero mutati i soggetti destinatari della
normativa di cui alla legge 1423/1956, recepita nel vigente Codice Antimafia
(D.L.vo 159/2011). In particolare, non ha tenuto conto
del mutamento legislativo intervenuto nel
1988 con la legge n.327, la quale aveva ridefinito i
soggetti destinatari della suddetta normativa, per quanto rileva nel presente
processo, nel modo seguente: mentre originariamente l'art.1 della legge
1423/1956 indicava, come destinatari delle misure di prevenzione, anche i
soggetti "che svolgono abitualmente altre attività contrarie alla
morale pubblica e al buon costume", la legge 327/1988 ha precisato,
riformulando la suddetta norma, che le misure di prevenzione si applicano
(anche) a "coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla
base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che
offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la
sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica" (norma recepita dal
D.L.vo 159/2011 all'art. 1 lett. c).
Quindi, in base alla normativa vigente al momento del
fatto, la misura di prevenzione del foglio di via obbligatorio, con inibizione
di tornare senza preventiva autorizzazione, poteva essere applicata dal
Questore solo a coloro che, sulla base di elementi di fatto, risultavano
dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo
l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la
tranquillità pubblica. Ne consegue che il provvedimento del Questore, per
essere conforme alla suddetta norma, doveva seppur succintamente indicare gli
elementi di fatto in base ai quali si era dedotto che la persona destinataria
del foglio di via fosse dedita alla commissione di reati che offendono i beni
sopra indicati. Secondo l'attuale giurisprudenza di questa Corte, formatasi
dopo l'indicato mutamento della normativa suddetta, in tema di reato di
violazione del foglio di via obbligatorio, è legittima da parte del giudice
penale la disapplicazione del provvedimento amministrativo, presupposto del
reato, motivato soltanto con l'esercizio della prostituzione da parte
dell'imputato, poiché l'ordine, alla cui violazione consegue l'illecito penale,
deve essere fondato su indizi da cui desumere che il soggetto destinatario rientri
in una delle categorie previste dall'art. 1 della legge n. 1423 del 1956 (V.
Sez. 1 sentenza n.4426 del 5.12.2013, Rv.259015).
Il giudice, al fine di accertare la sussistenza del
reato de quo, ha il potere-dovere di verificare la legittimità del provvedimento
amministrativo, controllando la conformità dello stesso ai presupposti di
legge, e in particolare controllando nel caso di specie se nella motivazione
sono stati indicati elementi di fatto dai quali desumere che il soggetto è
dedito alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo
l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità o la sicurezza e
tranquillità pubblica. Il GIP del Tribunale di Brescia, nella sentenza
impugnata, ha ritenuto, con motivazione scevra da vizi logico giuridici, che
dal provvedimento del Questore emergesse soltanto che l'imputata esercitava la
prostituzione e che non fossero stati indicati elementi di fatto dai quali
desumere che la suddetta attività, che di per sé non costituisce reato, fosse
esercitata con modalità tali da mettere in pericolo l'integrità fisica o morale
dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica. Nel ricorso
si afferma, in via meramente congetturale, senza alcuna indicazione di elementi
di fatto, che l'imputata esercitando la prostituzione avrebbe potuto praticare
atti sessuali all'interno di autovetture, e pertanto in luoghi esposti al
pubblico, ovvero che minorenni avrebbero potuto anche casualmente assistere
all'attività suddetta, ma in proposito né dalla motivazione del provvedimento
del Questore, né dall'atto di ricorso si desumono specifici elementi di fatto.
L'esercizio della prostituzione, anche nel caso in cui
si reperiscano i clienti sulla strada, non necessariamente comporta la
consumazione degli atti sessuali in luoghi esposti al pubblico. Mancando quindi
nel provvedimento del Questore ed anche nell'atto di impugnazione un qualsiasi
riferimento ad elementi di fatto dai quali desumere che l'imputata fosse dedita
alla commissione dei suindicati reati, il ricorso deve essere rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma in data 17 settembre 2014.
Il Consigliere estensore.
Scritto il 29 marzo 2015