UN’ALTRA LUCCIOLA
VINCE ANCORA CON IL TAR
Il TAR di Milano con la Sentenza
7738/2010 ha annullato il provvedimento del Foglio di Via Obbligatorio emesso dalla Questura della stessa città
ad una donna adulta esercitante il meretricio su strada ai sensi della Legge 1423/1956. La prostituta in
questione ha subito il detto decreto di allontanamento dai Comuni di Arese
(MI), Bollate (MI), Baranzate (MI) e Milano. Il dichiarato organo giudicante ha
accolto il ricorso relativo solo per l’ultimo territorio elencato, poiché la
pratica riguardante l’impugnatura dei restanti tre Comuni è stata presentata
oltre il termine dei sessanta giorni di scadenza necessari per la
corrispondente consegna.
Nella Sentenza si denota come il TAR di Milano ha evidenziato che nel Foglio di Via Obbligatorio rilasciato
alla meretrice in questione, non si evidenzia una classificazione tra le
persone dedite alla commissione di reati e tanto meno lo status di pericolosità
legato all’esercizio della prostituzione tra maggiorenni sulla pubblica via
come era nel caso della persona protagonista della faccenda.
In effetti, nella stessa pronuncia
si evidenzia come il sesso a pagamento tra adulti in Italia non sia illegale e
che: “l’Amministrazione, pur
evidenziando in tal caso comportamenti che possono astrattamente integrare
ipotesi di reato, non chiarisce per quale ragione tali comportamenti possano
essere in concreto ritenuti pericolosi per la sicurezza pubblica.”
Si elenca di seguito il testo della
suddetta Sentenza.
N.
07738/2010 REG.SEN.
N.
01234/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul
ricorso numero di registro generale 1234 del 2008, proposto da: L. A.,
rappresentata e difesa dall'avv. F. B., con domicilio eletto presso lo studio
di quest’ultima in Milano, (omissis);
contro
MINISTERO
DELL'INTERNO - Questura di Milano, in persona del Ministro p.t.
rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato,
domiciliato presso gli Uffici di quest’ultima in Milano, via Freguglia n. 1;
per
l'annullamento
dei
provvedimenti n. Q22/90826/07Div. Ant./ MP2 datati 15 novembre 2007 e
notificati all’interessata in data 3 aprile 2008 emessi dal Questore della
Provincia di Milano e del provvedimento pari numero emesso dal Questore della
Provincia di Milano notificato all’interessata in data 9 aprile 2008 di divieto
di soggiornare e circolare nei Comuni di Arese, Bollate e Baranzate e Milano
per la durata di anni due con ordine di lasciare immediatamente i predetti
Comuni e di presentarsi al Sindaco del comune di residenza entro il termine
massimo di giorni uno.
Visti
il ricorso e i relativi allegati;
Visto
l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;
Viste
le memorie difensive;
Visti
tutti gli atti della causa;
Relatore
nell'udienza pubblica del giorno 18 novembre 2010 il dott. Stefano Celeste
Cozzi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto
e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
e DIRITTO
Con
il ricorso in esame vengono impugnati tre distinti provvedimenti, con i quali
il Questore della Provincia di Milano ha disposto nei confronti della
ricorrente la misura del rimpatrio con foglio di via obbligatorio, ai sensi
degli artt. 1 e 2 della legge n. 1423/1956, inibendole di far ritorno nei
Comuni di Arese, Bollate e Baranzate e Milano.
La
misura è stata assunta in quanto la sig.ra L. è stata trovata nel territorio di
quei Comuni mentre svolgeva attività di meretricio, ed in quanto segnalata per
atti contrari alla pubblica decenza.
Si è
costituito in giudizio il Ministero dell’Interno per opporsi all’accoglimento
del gravame.
La
Sezione, con ordinanza n. 1038 del 3 luglio 2008, ha parzialmente accolto
l’istanza di sospensione cautelare proposta con il ricorso.
Tenutasi
la pubblica udienza in data 18 novembre 2010, la causa è stata trattenuta in
decisione.
Prima
di passare alla trattazione dei motivi di gravame, va osservato che i
provvedimenti Q22/90826/07Div. Ant./ MP2, datati 15 novembre 2007, relativi ai
Comuni di Arese e di Bollate e Baranzate sono stati notificati all’interessata
in data 3 aprile 2008, mentre l’atto introduttivo del presente giudizio è stato
notificato all’Amministrazione resistente in data 4 giugno 2008, oltre il
termine decadenziale di sessanta giorni previsto dalla legge.
Il
ricorso, con riferimento a detti provvedimenti, è quindi irricevibile.
Resta
dunque in piedi il gravame avverso il provvedimento datato 9 aprile 2008,
afferente al territorio del Comune di Milano.
Ritiene
il Collegio che il ricorso sia in parte qua fondato, essendo meritevole
di accoglimento l’unico motivo di ricorso con il quale si deduce la violazione
degli artt. 1 e 2 della legge n. 1423/1956.
I
presupposti per l’emissione del provvedimento di rimpatrio con foglio di via
obbligatorio sono contenuti negli artt. 1 e 2 della legge 27 dicembre 1956 n.
1423.
Stabilisce
l’art. 2 di tale legge che “qualora le persone indicate nell'articolo
precedente siano pericolose per la sicurezza pubblica e si trovino fuori dei
luoghi di residenza, il Questore può rimandarvele con provvedimento motivato e
con foglio di via obbligatorio, inibendo loro di ritornare, senza preventiva
autorizzazione ovvero per un periodo non superiore a tre anni, nel Comune dal
quale sono allontanate”.
Affinché
possa essere adottato il provvedimento di rimpatrio è dunque necessario che:
a) il
soggetto nei cui confronti l’atto viene emesso rientri in una delle categorie
di “persone indicate nell’articolo precedente”;
b)
che tale soggetto sia pericoloso per la sicurezza pubblica;
c)
che lo stesso si trovi fuori dal luogo di residenza.
Primo
indefettibile presupposto è pertanto quello dell’appartenenza del destinatario
del provvedimento ad una delle categorie di persone di cui all’art. 1 della
citata legge n. 1423/56.
Occorre
dunque accertare quali siano tali categorie di persone.
Stabilisce
l’art. 1 della legge n. 1423/56 che le misure di prevenzione possono essere
applicate a :
1)
coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono
abitualmente dediti a traffici delittuosi;
2)
coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di
elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di
attività delittuose;
3)
coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di
fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in
pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o
la tranquillità pubblica.
Elemento
comune di tutte e tre le figure è dato dalla provata, o perlomeno ipotizzata,
commissione di atti che integrino fattispecie di reato previste dalla legge:
infatti nel primo caso il possibile destinatario del provvedimento deve essere
dedito a traffici delittuosi; nella seconda ipotesi, si deve ritenere che lo
stesso viva abitualmente con proventi di attività delittuose; mentre nella
terza ipotesi è necessario che l’integrità fisica o morale dei minorenni, la
sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica siano offese o minacciate
attraverso la commissione di reati.
Alla
luce di queste premesse, si deve ritenere che, in mancanza di una norma nel
nostro ordinamento che punisca la prostituzione come fattispecie di reato, non
è possibile emanare nei confronti delle prostitute, per il solo fatto di
esercitare attività di meretricio, le misure di prevenzione previste dalla più
volte citata legge n. 1423/56.
La
mancanza del reato rende infatti impossibile ascrivere la loro condotta al
novero di quelle indicate dall’art. 1 della predetta legge, con il conseguente
venir meno di uno dei presupposti suindicati, indispensabili per l’adozione dei
provvedimenti in argomento.
In
particolare, non essendo la prostituzione una fattispecie delittuosa, non è
possibile ritenere che chi la esercita viva abitualmente con proventi di
attività delittuose; neppure è decisivo evocare la possibilità che l’esercizio
della prostituzione possa di per sé mettere in pericolo l’integrità morale dei
minorenni, giacché, anche volendo condividere tale assunto, la norma richiede
comunque che questo pericolo sia cagionato da coloro che siano “dediti alla
commissione di reati”.
L’amministrazione
pertanto, nei propri provvedimenti, deve indicare con precisione quali siano le
fattispecie di reato che, al di là del mero esercizio della prostituzione (che
reato non è), ritenga possano essere integrate, e che possano far ritenere la
prostituta soggetto pericoloso.
Tale
è l’orientamento seguito dalla prevalente giurisprudenza seguita anche da
questo Tribunale, che ha avuto modo, pure in tempi recenti, di affrontare la
questione e di ribadire i principi appena illustrati (cfr. TAR Piemonte, sez.
II, 21/02/2009 n. 497; TAR Lombardia Milano, sez. III, 24/04/2008 n. 1259; id,
07/05/2008 n. 1353).
Da
quanto sopra discende che deve condividersi la doglianza sollevata da parte
ricorrente laddove lamenta la falsa applicazione delle norme che disciplinano
la materia, non avendo l’amministrazione in alcun modo chiarito in che modo la
ricorrente possa essere annoverata in una delle categorie previste dall’art. 1
della citata legge n. 1423/56.
Deve
inoltre rilevarsi che, come anticipato, il provvedimento impugnato, oltre a far
riferimento all’attività di prostituzione, richiama alcuni precedenti di
polizia concernenti l’interessata, risultando la stessa segnalata per atti
contrari alla pubblica decenza.
Anche
in tal caso tuttavia i richiami sono generici, giacché non mettono
assolutamente in luce a quale delle categorie di persone, di cui all’art. 1
della legge n. 1423/56, la destinataria del provvedimento sarebbe per ciò
ascrivibile, né in che modo tali precedenti possano far ritenere che la stessa
sia attualmente pericolosa per la sicurezza pubblica.
Invero
l’Amministrazione, pur evidenziando in tal caso comportamenti che possono
astrattamente integrare ipotesi di reato, non chiarisce per quale ragione tali
comportamenti possano essere in concreto ritenuti pericolosi per la sicurezza
pubblica.
Colgono
pertanto nel segno le doglianze sollevate dall’interessata.
In
conclusione il ricorso deve essere accolto.
Le
spese di giudizio seguono la regola generale della soccombenza.
P.Q.M.
Il
Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza)
definitivamente
pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara irricevibile
nella parte in cui censura i provvedimenti del 15 novembre 2007, afferenti ai
territori dei Comuni di Arerse e di Bollate e
Baranzate; lo accoglie con riferimento al provvedimento del 9 aprile 2009
afferente al territorio del Comune di Milano.
Condanna
l’amministrazione intimata al pagamento delle spese processuali quantificate in
Euro 600,00 oltre IVA e c.p.a. se dovuti, fermo
l’onere di cui all’art. 13 D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo integrato
dal comma 6 bis dell’art. 21 del decreto-legge n. 223 del 2006, come modificato
dalla legge di conversione n. 248 del 2006, a carico della parte soccombente.
Ordina
che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così
deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 18 novembre 2010 con
l'intervento dei magistrati:
D.
G., Presidente
S. C.
C., Referendario, Estensore
D.
S., Referendario
Da
Assegnare Magistrato, Consigliere
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L'ESTENSORE |
IL
PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il
29/12/2010
IL
SEGRETARIO
(Art.
89, co. 3, cod. proc. amm.)
Scritto il 21 gennaio 2011