ANCORA UN’ALTRA LUCCIOLA VIENE GRAZIATA
DALLA CASSAZIONE
Con la Sentenza n. 302/2015 la Corte di Cassazione ha nuovamente riaffermato
il concetto che chi esercita la prostituzione, anche sulla via pubblica, non
può essere colpito da Foglio di Via
Obbligatorio per soggetti sospettati di essere pericolosi per la pubblica
sicurezza, fino a quando essi stessi non si limitano a tale semplice azione,
siccome il meretricio in Italia non è reato ed il relativo svolgimento in
luoghi pubblici può solamente portare a concreti sospetti di pericolosità per
la pubblica moralità, ma non certo per la pubblica sicurezza (ex Legge
1423/1956, assorbita dal D.Lgs. 159/2011).
In più nella suddetta pronuncia, il Supremo Organo Giudicante ha affermato che
la validità del corrispondente provvedimento amministrativo può benissimo
essere esaminata anche in sede penale, a seguito del reato che viene scaturito
dall’inottemperanza del citato decreto d’allontanamento da parte della relativa
persona.
Si
elenca di seguito il testo della Sentenza
n. 302/2015 della Cassazione.
Corte di Cassazione,
sezione I Penale
Sentenza 17 dicembre
2014 – 8 gennaio 2015, n. 302
Presidente C. –
Relatore M.
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza emessa in data 25 febbraio
2013 la Corte d’Appello di Ancona confermava i contenuti della decisione di primo
grado, emessa in data 3 aprile 2012 dal G.M. presso la Sezione Distaccata di S.
Elpidio a Mare del Tribunale di Fermo, nei confronti di D.A.I.
.
Con tali conformi decisioni di merito è stata
dunque affermata la penale responsabilità dell’imputata per il reato di cui
all’art. 2 legge n. 1423 del 1956 – inottemperanza al foglio di via
obbligatorio emesso dal Questore di Ascoli Piceno e notificatole il 23 luglio
2009 – per fatto avvenuto il 18 giugno 2010 in Porto Sant’Elpidio (con condanna
a giorni venti di arresto).
Il giudice di primo grado ritiene integrata
la fattispecie in virtù della constatazione obiettiva del rientro nel comune e
della legittimità del provvedimento amministrativo posto a monte.
La pericolosità della D. era stata ritenuta
sussistente in virtù del fatto che costei era stata più volte controllata in
località (omissis), mentre esercitava
la prostituzione in atteggiamenti definiti “adescatori e scandalosi”,
nonostante la presenza in loco di civili abitazioni.
Tale motivazione dell’atto amministrativo
viene ritenuta fondata in fatto e comunque insindacabile in punto di valenza
del giudizio di pericolosità.
La Corte d’Appello, nel valutare i contenuti
a lei offerti, affermava, in sintesi, che l’atto amministrativo posto a monte
non poteva essere oggetto di disapplicazione da parte del giudice penale in
quanto non si limitava a parificare l’esercizio dell’attività di prostituzione
ad una condotta in sé pericolosa per la pubblica sicurezza o tranquillità, ma
evidenziava specifiche modalità del fatto (ora, forme e luogo dell’offerta
sessuale) tali da far ragionevolmente presumere la violazione di norme penali o
comunque idonee a sostenere la valutazione di pericolosità di cui alle norme
regolatrici. Si riteneva altresì adeguata l’entità della sanzione.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso
per Cassazione – a mezzo del difensore – D.A.I. ,
deducendo erronea applicazione delle norme regolatrici e vizio di motivazione.
Nel ricorso si ribadisce che in realtà il
provvedimento amministrativo violato era illegittimo e il giudice penale
avrebbe dovuto disapplicarlo. Ciò perché l’esercizio della prostituzione non è
di per sé un reato e dunque non può dar luogo alla emissione – da parte dell’autorità
amministrativa – del foglio di via obbligatorio.
Né risultano – in concreto – indicate
condotte tali da integrare una o più ipotesi di reato commesse durante
l’esercizio di detta attività dall’imputata.
Considerato in
diritto
1. Il ricorso è fondato, per le ragioni che
seguono.
Questa Corte, con orientamento cui il
Collegio presta adesione (da ultimo sent. n. 41738 del 16.9.2014, rv 260515) ha affermato che lì dove il provvedimento
amministrativo di cui all’art. 2 legge n.1423 del 1956 (foglio di via
obbligatorio) sia motivato con esclusivo riferimento all’attività di
prostituzione – esercitata dall’imputata – è doverosa la sua disapplicazione da
parte del giudice penale chiamato a pronunziarsi sulla ricorrenza dell’ipotesi
di reato di cui all’art. 2 co. 2 l. 1423/’56 (v. anche Sez. I n. 4426 del
5.12.2013, rv 259015).
Ciò perché la stessa norma dell’art. 2 pone
come presupposto dell’ordine di allontanamento non un qualsivoglia
comportamento “pericoloso per la sicurezza pubblica” (nozione che aprirebbe il
varco a forme incontrollabili di discrezionalità) ma una condotta pericolosa
che sia espressione delle riconosciute categorie criminologiche di cui al
precedente articolo 1 (n. 1 soggetti abitualmente dediti, sulla base di
elementi di fatto, a traffici delittuosi/ n.2 soggetti che per condotta e
tenore di vita debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, produttori
di proventi derivanti da attività delittuose con cui si sostengono, almeno in
parte /n.3 soggetti dediti, sulla base di elementi di fatto, alla commissione
di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei
minorenni, la sanità, sicurezza o tranquillità pubblica).
Ora, come è stato già ritenuto nelle
precedenti decisioni sul tema, è del tutto pacifico che l’esercizio della
prostituzione in sé non rientra tra le categorie delle persone pericolose ai
sensi della vigente normativa (già in base alla L. n. 327 del 1988 che ebbe ad
eliminare il riferimento a coloro che svolgono abitualmente attività contrarie
alla morale pubblica ed al buon costume).
Né può ritenersi condotta di reato quella
consistente in fatti di “adescamento”, stante la depenalizzazione operata con
art. 81 della legge n. 689 del 1981 della fattispecie originariamente prevista
dall’art. 5 co. 1 legge n.75 del 1958.
Va poi rilevato come sia anche del tutto
certo che, pur nell’ambito delle categorie contemplate dalla legge, il
provvedimento amministrativo non possa essere motivato con indicazione generica
della categoria di pericolosità ritenuta presente nel caso specifico, ma debba
indicare gli elementi concreti in fatto, riferibili al soggetto interessato,
sui quali il provvedimento è fondato.
Non può ritenersi, dunque, che l’esercizio
della prostituzione – in sé attività non costituente reato – possa fondare
l’emissione di un provvedimento di allontanamento basato sulle ipotesi di cui
al numero 1 dell’art. 1 (traffici delittuosi) o numero 2 (vivere con provento
di attività delittuose).
Ma neanche tale attività può dar luogo alla
“iscrizione” del soggetto nella categoria di cui all’art. 1 numero 3 della
legge in parola, evocato nel provvedimento posto a base della successiva
condotta illecita (in termini di inottemperanza).
È del tutto evidente,
sul punto, che l’offesa o la messa in pericolo dei beni indicati in detta norma
(l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, sicurezza o tranquillità
pubblica), per essere rilevante ai fini in parola, deve discendere da veri e
propri reati ascrivibili al soggetto, e non da condotta in sé non costituente
reato.
Ritenere diversamente
finirebbe invero, in modo del tutto inammissibile, per ripristinare
surrettiziamente, a questi fini, la categoria già soppressa dalla L. n. 327 del
1988.
Dal chiarissimo testo
di legge è poi rilevabile, in modo del tutto piano, che eventuali reati, o
comportamenti pericolosi, commessi da terze persone, sia pur occasionati
dall’offerta prostitutoria, non possono ricadere ai
sensi di legge sul soggetto che si prostituisce, a meno che l’offerta stessa
non si concretizzi in condotte di reato.
Ciò posto, meramente ipotetica risulta essere
– nel caso in esame – la commissione di reati “correlati” all’attività
esercitata e posti in essere dall’imputata (coinvolgimento di minori o
realizzazione di atti osceni in luogo pubblico).
Sul punto, la motivazione della decisione
impugnata risulta del tutto carente e inadeguata proprio perché affronta il
tema muovendosi sul terreno della “probabilità”, e dunque valorizzando
indicatori generici e non soggettivizzati, posto che dagli atti non era dato
scorgere alcuna condotta diversa dalla ordinaria attività di offerta delle
prestazioni sessuali.
In ciò le critiche mosse nel ricorso
risultano fondate, posto che l’illegittima emissione del provvedimento
amministrativo – disapplicabile per violazione di legge e vizio di motivazione
– rende insussistente la fattispecie di reato oggetto di contestazione.
Da ciò deriva l’annullamento senza rinvio della
sentenza impugnata perché il fatto di reato non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata
perché il fatto non sussiste.
Scritto il 16 gennaio 2015