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CONCETTO DI CASA DI PROSTITUZIONE

 

 

Per il concetto di Casa di Prostituzione citato nella Legge 20 febbraio 1958, n. 75 “Merlin”, la Corte di Cassazione con la Sentenza 26 marzo 2007, n. 12424, ha stabilito che tale parametro è ripreso dagli abrogati articoli 190 e 191 del Testo Unico delle Leggi sulla Pubblica Sicurezza (Regio Decreto 18 giugno 1931, n. 775). In esso viene espresso che per “Casa di Meretricio” si deve intendere qualsiasi luogo chiuso dove si eserciti in maniera abituale la prostituzione da più persone che si mutualizzano in tale attività.

Successivamente con la Pronuncia 23 febbraio 2012, n. 7076, la stessa Suprema Corte Giudicante ha espresso che “per il suddetto luogo, quest’ultimo deve avere più persone che in esso esercitano il sesso a pagamento e non ad una sola di queste”.

Ulteriormente, la stessa Cassazione con la Sentenza n. 33160/2013 ha dichiarato che per Casa di Prostituzione si deve intendere, non solo un luogo chiuso dove più prostitute esercitano la rispettiva professione, ma anche che in questa sia presente un’altra persona che gestisca ed organizzi il lavoro delle dette professioniste. In più, nella medesima pronuncia viene citato che in questo caso non si hanno nemmeno i reati di tolleranza abituale del meretricio nel proprio locale e di favoreggiamento e/o sfruttamento del relativo esercizio altrui, visto che il primo suddetto atto illecito viene previsto dalla stessa Legge 75/1958 “Merlin” all’articolo 3 n. 3 solo se riguarda immobili aperti al pubblico od utilizzati dal pubblico e per il secondo fattore (articolo 3 n. 8 della suddetta normativa) si ha avuto una locazione a prezzo di mercato con affitto a semplice scopo abitativo, senza l’aggiunta di elementi opzionali al fine di agevolare la prostituzione altrui.

E’ stato anche evidenziato come in questa situazione si è palesemente lontani dal reato di reclutamento del meretricio, visto che tale azione si può solo identificare nell’ingaggio della persona alle propri comandi con lo scopo della prostituzione od agevolazione di questa per lo stesso fine.

Si riporta di seguito i testi delle citate Sentenze della Cassazione.

 

 

 

 

Cass. Pen., Sez. III, 26 marzo 2007, n. 12424, Pres. V., Rel. P., Ric. C.

 

In fatto

Con sentenza del 9 marzo 2005, la Corte d’appello di Milano, in parziale riforma di quella pronunciata il 31 marzo 2004 dal GUP presso il tribunale di Lodi, riduceva a mesi dieci e giorni venti di reclusione ed euro 450 di multa la pena inflitta a ....., quale responsabile del reato di cui all’articolo 3 n.2 della legge 75/1958, per avere ceduto in locazione a ..... ed altri soggetti l’appartamento di cui era proprietaria per destinarlo a casa di prostituzione. Fatto commesso in Lodi fino al 2001.

A fondamento della decisione la corte osservava che la prevenuta era consapevole della destinazione dell’immobile a casa di meretricio, sia perché occupava l’appartamento sovrastante quello locato,sia per l’abbigliamento delle donne ed il continuo andirivieni di uomini, sia perché in una circostanza sì era rotto il sacco della spazzatura dai cui erano fuoriusciti numerosi profilattici usati. Aggiungeva che, in occasione di vari interventi, il personale A. per accedere all’appartamento, doveva attendere la presenza dell’imputata, la quale aveva suggerito alla locataria di dire che in quella casa si praticavano massaggi.

Ricorre per cassazione l’imputata tramite il proprio difensore deducendo: la violazione della norma incriminatrice nonché manifesta illogicità della motivazione sotto diversi profili: anzitutto per la mancata risposta ad un preciso problema sollevato con i motivi d’appello relativo alla mancata conoscenza al momento, della stipulazione del contratto della destinazione dell’appartamento, posto che all’imputata non era stato contestato il reato di agevolazione della prostituzione ma quello della stipulazione di un contratto di locazione in violazione della legge Merlin; in secondo luogo perché la corte aveva ritenuto irrilevante la mancata conoscenza al momento della stipulazione del contratto ed aveva fondato l’affermazione della responsabilità sul fatto che la prevenuta dopo avere appreso che nella sua abitazione si esercitava il meretricio, non si era attivata per la risoluzione del contratto; in terzo luogo la corte, per dimostrare la consapevolezza da parte dell’imputata della destinazione dell’appartamento concesso in locazione, aveva utilizzato un elemento non vero e cioè che occupasse l’appartamento sovrastante quello dato in locazione ossia quello posto al quarto piano invece essa abitava al piano settimo ;infine era mancata la risposta ad una specifica censura contenuta nei motivi d’appello con cui sulla base di una decisione di questa corte si era chiesta l’assoluzione non essendo punibile il comportamento di chi dà in locazione un immobile pur nella conoscenza del fatto che il medesimo sarebbe stato destinato dalla conduttrice all’esercizio del meretricio.

In diritto

Il ricorso è sostanzialmente fondato e va pertanto accolto anche se talune affermazioni non sono giuridicamente esatte.

L’articolo 3 n. 2 della legge 75/1958 sanziona la condotta di chiunque, avendo la proprietà o l’amministrazione di una casa o di altro locale, li conceda in locazione per l’esercizio di una casa di prostituzione, Per integrare il concetto di “casa di prostituzione” previsto espressamente dal numero 2 dell’articolo 3 della legge 75/1958 e, implicitamente, nel numero 3 dello stesso articolo è necessario un minimo anche rudimentale di organizzazione della prostituzione, che implica una pluralità di persone esercenti il meretricio. La nozione di casa di prostituzione contenuta nella originaria proposta della legge Merlin, che la identificava in ogni “stabile appartamento o altro luogo chiuso in cui due o più persone esercitano la prostituzione”, benché scomparsa come formula definitoria nella legge 75/1958, e sicuramente rimasta nella concettuologia del legislatore, il quale ha chiaramente distinto le prime tre ipotesi previste nell’articolo 3, con cui intende punire l’organizzazione sotto qualsiasi forma delle soppresse “case di meretricio”, per contrastare ogni uso professionale di locali in cui si esercita il meretricio dalle altre cinque ipotesi previste nello stesso articolo, volte a reprimere penalmente ogni forma di lenocinio. A questo riguardo è significativo che per le ipotesi di reclutamento, induzione alla prostituzione e favoreggiamento della prostituzione il legislatore le reputi esplicitamente rilevanti sotto il profilo penale anche se riferite a una sola persona. In altri termini una lettura logica e sistematica dell’art 3 induce a individuare nella casa di prostituzione prevista nelle prime tre ipotesi una forma organizzata di esercizio della prostituzione altrui, mentre tutte le varie condotte di lenocinio previste nelle altre ipotesi hanno rilievo penale anche se riguardano una sola prostituta. Per tale ragione questa corte ha ritenuto che non integri il reato di locazione d’immobile a fine dell’esercizio di una casa di prostituzione concedere un appartamento all’interno del quale venga esercitato la prostituzione da parte di una sola donna anche se il locatore è consapevole dell’esercizio del meretricio (cfr. da ultimo Cassazione 23657/2004). Tale condotta può configurare il reato di favoreggiamento ma non quello di cui all’articolo 3 n 2 della legge 75/1958.

Le decisioni citate nel ricorso si riferiscono quindi a fattispecie in cui, pur sussistendo da parte del locatore la consapevolezza dell’attività di meretricio svolta nell’immobile locato, il reato in questione non era configurabile per la mancanza della pluralità di persone dedite al meretricio. Il riferimento a tali decisioni contenuto nel ricorso non è però pertinente perché nella fattispecie nell’appartamento di proprietà della prevenuta il meretricio era esercitato da una pluralità di prostitute. Tuttavia per la configurabilità del reato contestato, oltre alla pluralità delle persone dedite al meretricio, è necessario il dolo specifico, è necessario cioè che il locatore al momento della stipulazione del contratto o quanto meno al momento della sua eventuale rinnovazione - espressa o tacita - abbia la consapevolezza che l’immobile sarà destinato dalle conduttrici all’esercizio del meretricio.

La consapevolezza successiva alla conclusione del contratto o alla sua eventuale rinnovazione configura altre ipotesi criminose previste dallo stesso articolo 3 ma non quella contestata. Nella fattispecie con i motivi d’appello la prevenuta aveva censurato la sentenza impugnata facendo rilevare che gli elementi evidenziati dal tribunale dimostravano tutt’al più che essa aveva avuto contezza della destinazione del suo immobile a casa di prostituzione dopo la conclusione del contratto ma non prima.

A questa specifica censura la corte territoriale ha risposto che era irrilevante la circostanza che il contratto fosse stato stipulato per mezzo di un’agenzia e che l’imputata inizialmente non avesse alcuna contezza di quello che accadeva nell’appartamento (pag.3 della decisione impugnata). Invece trattatasi di elementi decisivi come sopra precisato. Questa corte, non avendo accesso agli atti processuali se non viene dedotta una nullità procedurale , non può essa stessa stabilire se, a parte quelli segnalati dalla corte, vi siano elementi idonei a configurare l’elemento psicologico del reato nei termini dianzi specificati al momento della conclusione del contratto. Certo è che quelli sottolineati dalla corte territoriale dimostrano la consapevolezza da parte della prevenuta della destinazione del suo appartamento a casa di prostituzione in un momento successivo alla stipulazione dell’atto. Nella fattispecie invece occorreva dimostrare, interpellando le conduttrici o eventualmente con altri elementi univoci, la consapevolezza della destinazione dell’immobile al momento della stipulazione dell’atto.

Pertanto la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per difetto di motivazione sul punto.

Il giudice del rinvio dovrà procedere alla rivalutazione del materiale probatorio allo scopo di stabilire se in base ad esso possa desumersi la sussistenza dell’elemento psicologico nei termini sopra precisati.

 

PQM

 

La Corte, letto l’articolo 623 C.p.p., annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano.

 

 

 

 

 

 

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III PENALE

Sentenza 19 gennaio – 23 febbraio 2012, n. 7076

(Presidente T. – Relatore F.)

Svolgimento del processo

Con l'ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Ancona confermò il decreto di sequestro preventivo di tre appartamenti siti in Ancona ritenendo che sussistesse il fumus almeno del reato di cui all'art. 3, n. 3, legge 20 febbraio 1958, n. 75, in quanto era assai probabile che gli indagati tollerassero abitualmente la presenza di più persone che, all'interno dei medesimi appartamenti, si davano alla prostituzione. Ritenne altresì sussistente il periculum in mora perché era probabile che gli indagati, per affittare più facilmente gli immobili, fossero propensi a disinteressarsi dell'effettivo uso degli stessi. Gli indagati propongono ricorso per cassazione deducendo:

1) mancanza di motivazione sul fumus del reato ipotizzato. Lamentano che il tribunale del riesame non ha risposto alle eccezioni sollevate con la richiesta di riesame e comunque ha ritenuto il fumus in termini meramente probabilistici e presuntivi, e con una deduzione incoerente ed incompleta. Il tribunale ha altresì omesso di prendere in considerazione le diffide inviate dai locatori alle inquiline.

2) mancanza di motivazione in riferimento al periculum in mora ed al rapporto pertinenziale tra i beni sequestrati ed il reato, in quanto è provato che gli appartamenti non erano organicamente e stabilmente strumentali alla attività illecita.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

Agli indagati sembra essere stato contestato il fatto che, avendo la proprietà o comunque la disponibilità di tre appartamenti, li avevano concessi in locazione a scopo di esercizio di una casa di prostituzione ovvero vi avevano tollerato abitualmente la presenza di più persone che, all'interno dei medesimi appartamenti, si davano alla prostituzione, comunque favorendone in tal modo la prostituzione.

Il tribunale del riesame sembra aver ritenuto sussistente esclusivamente il fumus del reato di cui all'art. 3, comma 3, legge 20 febbraio 1958, n. 75, il quale riguarda la condotta di “chiunque, essendo proprietario, gerente o preposto a un albergo, casa mobiliata, pensione, spaccio di bevande, circolo, locale da ballo, o luogo di spettacolo, o loro annessi e dipendenze o qualunque locale aperto al pubblico od utilizzato dal pubblico, vi tollera abitualmente la presenza di una o più persone che, all'interno del locale stesso, si danno alla prostituzione”.

È quindi decisivo il rilievo che il delitto di tolleranza abituale della prostituzione, quindi, richiede per la sua configurabilità che si sia in presenza di un locale aperto al pubblico od utilizzato dal pubblico (quale albergo, casa mobiliata, pensione, spaccio di bevande, circolo, locale da ballo, o luogo di spettacolo), nel cui interno il preposto, gerente o proprietario tolleri abitualmente la presenza di persone che esercitino la prostituzione.

Da tale disposizione si ricava anche che la mera tolleranza dell'altrui prostituzione in locali non aperti al pubblico o non utilizzati dal pubblico, di per sé, non è prevista come reato.

Nella specie, a quanto emerge dalla ordinanza impugnata, tale ipotesi delittuosa - in riferimento alla quale soltanto il tribunale del riesame ha confermato la misura cautelare reale - non è prospettabile nemmeno in astratto non trattandosi di locali aperti al pubblico o utilizzati dal pubblico.

L'ordinanza impugnata, comunque, manca totalmente di motivazione anche in ordine alla possibilità di configurazione del fumus del reato di cui all'art. 3, comma 2, legge 20 febbraio 1958, n. 75, ossia del reato di concessione in locazione di una casa od altro a scopo di esercizio di una casa di prostituzione. Secondo il prevalente e più convincente orientamento di questa Corte, invero, “per integrare il concetto di casa di prostituzione previsto nei numeri 1 e 2 dell'art. 3 della legge 20 febbraio 1958 n. 75 è necessario un minimo, anche rudimentale, di organizzazione della prostituzione, che implica una pluralità di persone esercenti il meretricio” (Sez. III, 19.5.1999, n. 8600, C., m. 214228); e “per integrare il concetto di casa di prostituzione, è necessario il contestuale esercizio del meretricio da parte di più persone negli stessi locali ed, all'interno dello stesso locale, l'esistenza di una sia pur minima forma di organizzazione” (Sez. III, 16.4.2004, n. 23657, R., m. 228971), con la conseguenza che “Il reato di chi, avendo la proprietà o l’amministrazione di una casa, la concede in locazione a scopo di esercizio di una casa di prostituzione non sussiste, pertanto, quando il locatore conceda in locazione l'immobile ad una sola donna, pur essendo consapevole che la locataria è una prostituta, e che eserciterà nella casa locata autonomamente e per proprio conto” (Sez. III, 19.5.1999, n. 8600, C., m. 214228, cit.) e persino che “Non integra il reato di locazione di immobile alfine dell'esercizio di una casa di prostituzione concedere in locazione un appartamento all'interno del quale, sebbene con frequente turnazione, venga esercitata la prostituzione di volta in volta da una sola donna” (Sez. III, 16.4.2004, n. 23657, R., m. 228971, cit.). Questo orientamento è stato da ultimo ulteriormente confermato da questa Sezione con sentenza 28 settembre 2011, P. (che ha anche rilevato come non convince il contrario indirizzo: Sez. III, 5.11.1999, n. 2730, G., m. 215760; Sez. III, 27.2.2007, n. 21090, P., m. 236739), alle cui considerazioni, per brevità, si fa qui richiamo. Orbene, l'ordinanza impugnata non contiene alcuna motivazione sulla sussistenza dei requisiti per poter configurare il fumus del delitto di locazione di appartamento al fine dell'esercizio di una casa di prostituzione, ed in particolare, tra l'altro, sull'esistenza di una pluralità di persone esercenti il meretricio nell'appartamento e di una attività di organizzazione.

Allo stesso modo, l'ordinanza impugnata non contiene alcuna motivazione sulla sussistenza del fumus di un eventuale reato di favoreggiamento della prostituzione. Va ricordato che secondo una giurisprudenza da tempo affermata e prevalente, non è ravvisabile il favoreggiamento della prostituzione nel fatto di chi concede in locazione, a prezzo di mercato (altrimenti potrebbe ipotizzarsi lo sfruttamento), un appartamento ad una prostituta, anche se sia consapevole che la locataria vi eserciterà la prostituzione in via del tutto autonoma e per proprio conto (Sez. III, 6.5.1971, n. 999, C., m. 119000; Sez. III, 5.3.1984, n. 4996, S., m. 164513; Sez. III, 3.5.1991, n. 6400, T., m. 188540; Sez. III, 19.5.1999, n. 8600, C., m. 214228). Questo orientamento, che qui va condiviso, è stato poi confermato anche da Sez. III, 13.4.2000, n. 8345, D., m. 217080, che pure è stata citata in senso contrario da decisioni che sembrerebbero aver affermato un principio opposto (Sez. III, 23.5.2007, n. 35373, G., m. 237400), ma che in realtà nella motivazione richiedono pur sempre che, per aversi favoreggiamento, vi siano prestazioni ed attività ulteriori rispetto a quella della semplice concessione in locazione a prezzo di mercato. La citata sentenza D., infatti, rileva giustamente come la giurisprudenza che esclude il favoreggiamento in caso di mera locazione sia stata ispirata proprio dalla finalità di evitare aberrazioni non solo sul piano dell'etica e del senso comune ma anche in rapporto alla ratio e alla intentio legis cui porterebbe la configurazione come favoreggiamento di qualsiasi aiuto prestato solo alla prostituta in quanto persona e non direttamente all'esercizio del meretricio in quanto tale. In particolare, la detta sentenza ha, più che condivisibilmente, osservato che “se la locazione non è concessa allo scopo specifico di esercitare nell'immobile locato una casa di prostituzione (nel qual caso ricorrerebbe l'ipotesi di cui al n. 2 dell'art. 3 legge 75/1958), la condotta del locatore non configura propriamente un aiuto alla prostituzione esercitata dalla locataria, ma semplicemente la stipulazione di un contratto attraverso cui è consentito a quest'ultima di realizzare il suo diritto all'abitazione. Insomma l'aiuto (o più esattamente il negozio giuridico) riguarda la persona e le sue esigenze abitative, e non la sua attività di prostituta. E vero che indirettamente ne è agevolata anche la prostituzione; ma questo rapporto indiretto non può essere incluso nel nesso causale penalmente rilevante tra condotta dell'agente ed evento di favoreggiamento della prostituzione. Altrimenti si arriverebbe al paradosso che colui che soccorre una (a lui) nota prostituta che sta annegando sarebbe imputabile di favoreggiamento perché indirettamente consente alla prostituta di continuare ad esercitare il suo mestiere! In verità - com'è noto - secondo la legge 75/1958 la prostituzione per se stessa non è prevista come reato, mentre è penalmente sanzionata ogni attività che induca, favorisca o sfrutti la prostituzione altrui, giacché il legislatore è mosso dallo scopo evidente di evitare che il mercimonio del sesso (penalmente irrilevante, ma socialmente riprovevole) sia comunque incentivato o agevolato da interessi o da comportamenti di terzi. Orbene, anche quando il reato previsto è a forma libera (come il favoreggiamento e lo sfruttamento, che possono essere commessi in qualsiasi modo), la condotta dell'agente deve essere legata all'evento da un nesso causale penalmente rilevante. Poiché l'evento del reato non è la prostituzione, bensì - nella fattispecie de qua - l'aiuto alla prostituzione, ciò significa che esula il reato ove la condotta dell'agente non abbia cagionato un effettivo ausilio per il meretricio, nel senso che questo sarebbe stato esercitato ugualmente in condizioni sostanzialmente equivalenti”.

Orbene, nel caso in esame, l'ordinanza impugnata non solo non ha dato alcuna motivazione sul fatto che gli indagati avessero agito allo scopo specifico di far esercitare nell'immobile locato una casa di prostituzione (intesa nel senso specificato) o comunque allo scopo specifico di fornire un contributo causale alla prostituzione esercitata dalla locataria, ma nemmeno ha indicato un qualche elemento da cui potesse ricavarsi il fumus che gli indagati comunque tollerassero la prostituzione svolta negli immobili (fatto che peraltro, di per sé solo, per le ragioni dianzi indicate non costituisce reato) ma addirittura rileva che era solo probabile, e quindi nemmeno certo, che gli stessi fossero a conoscenza dell'attività svolta negli appartamenti.

Analogo vizio di mancanza di motivazione, o di motivazione meramente apparente e generica, è ravvisabile in ordine al periculum in mora, che l'ordinanza impugnata ha apoditticamente ravvisato nel pericolo che la libera disponibilità degli appartamenti potesse consentire la protrazione della attività criminosa, per la probabilità che gli indagati, per affittare gli appartamenti, siano propensi a disinteressarsi del loro effettivo uso. E difatti, non è stata nemmeno indicata quale relazione specifica e stabile esista tra la cosa sequestrata e l'attività illecita, ed in particolare che gli appartamenti siano organicamente e stabilmente strumentali alla attività illecita.

L'ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata per mancanza di motivazione sul fumus del reato ipotizzato e sul periculum in mora, con rinvio per nuovo esame al tribunale di Ancona, che si uniformerà ai principi di diritto dianzi enunciati.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Ancona per nuovo esame.

 

 

 

 

 

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - SENTENZA 31 luglio 2013, n.33160 - Pres. M. – est. F.

 

Ritenuto in fatto

1. Con decreto del 24 luglio 2012 il Gip del tribunale di Ancona dispose il sequestro preventivo di due immobili, di cui uno di proprietà e l'altro nella disponibilità di B.S., in relazione al reato di favoreggiamento della prostituzione di cui all'art. 3, comma 4, legge 20 febbraio 1958, n. 75, in quanto erano locati a soggetti che vi svolgevano attività di prostituzione.

Il tribunale del riesame di Ancona, con l'ordinanza in epigrafe, revocò il sequestro di uno dei due immobili e confermò la misura cautelare per l'altro, ravvisando appunto il fumus del reato di favoreggiamento della prostituzione o del reato di locazione al fine di esercizio di una casa di prostituzione.

2. L'indagato, a mezzo dell'avv. R. T., propone ricorso per cassazione deducendo violazione degli artt. 24 e 111 Cost.; 50, 125, 178 cod. proc. pen.; 3, nn. 2, 4 e 8, legge 20 febbraio 1958, n. 75; 42 e 43 cod. pen.; mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.

Osserva: - che non vi è prova che egli fosse a conoscenza della attività svolta dalle due inquiline, presentatesi come operaie, o che sapesse della utilizzazione a volte da parte di altre prostitute; - che il corrispettivo comprendeva le utenze e corrispondeva ai valori di mercato; - che il PM aveva contestato solo il reato di favoreggiamento di cui all'art. 3, comma 4, legge 20 febbraio 1958, n. 75, sicché non poteva essere ipotizzato il fumus di un fatto e di un reato diverso come la locazione a scopo di esercizio di una casa di prostituzione, con violazione sia delle prerogative dell'accusa sia del diritto di difesa; - che il tribunale non ha risposto a questa eccezione; - che sono stati posti a base delle ordinanza impugnata fatti nuovi; - che non è vero e non è stato mai contestato che l'appartamento non sarebbe adibito ad abitazione.

Osserva quindi che non sussistono nella specie gli estremi del reato di locazione a scopo di esercizio di una casa di prostituzione, per il quale è necessario un minimo di organizzazione della prostituzione con una pluralità di soggetti che esercitano il meretricio, alla stregua di quanto avveniva nelle c.d. case di tolleranza, con l'intervento di un soggetto che predisponga, sovraintenda o sfrutti l'attività dei soggetti che si prostituiscono. Manca in ogni caso il dolo specifico, tanto più che si tratta di reato istantaneo.

Osserva inoltre che non sussiste il reato di favoreggiamento della prostituzione, non essendovi state attività e prestazioni ulteriori.

Palesemente nemmeno sussiste il reato di reclutamento di una persona al fine di farla esercitare la prostituzione o di agevolazione della prostituzione.

Lamenta infine la mera apparenza della motivazione sul periculum in mora, assolutamente apodittica e di stile.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato in quanto dagli stessi elementi risultanti dalla ordinanza impugnata emerge che nella specie non sussistono né l'astratta configurabilità né, tanto meno, il fumus dei due reati ipotizzati di favoreggiamento della prostituzione o di locazione a scopo di esercizio di una casa di prostituzione.

2. È innanzitutto di tutta evidenza l'insussistenza del reato di locazione al fine di esercizio di una casa di prostituzione, previsto dall'art. 3, comma 2, legge 20 febbraio 1958, n. 75, il quale invero richiede quali elementi costitutivi (di cui ovviamente il locatore deve essere consapevole) non solo il contestuale esercizio del meretricio da parte di più persone nel locale, ma anche e soprattutto l'esistenza, all'interno nello stesso locale, di una certa organizzazione finalizzata appunto all'attività di prostituzione.

Invero, secondo il prevalente e più convincente orientamento di questa Corte, “per integrare il concetto di casa di prostituzione previsto nei numeri 1 e 2 dell'art. 3 della legge 20 febbraio 1958 n. 75 è necessario un minimo, anche rudimentale, di organizzazione della prostituzione, che implica una pluralità di persone esercenti il meretricio” (Sez. 3, 19.5.1999, n. 8600, C., m. 214228); e “per integrare il concetto di casa di prostituzione, è necessario il contestuale esercizio del meretricio da parte di più persone negli stessi locali ed, all'interno dello stesso locale, l'esistenza di una sia pur rudimentale forma di organizzazione, ('alla stregua di quanto avveniva nelle c.d. case di tolleranza, diffuse prima della legge Merlin')” (Sez. 3, 16.4.2004, n. 23657, R., m. 228971). Da questa premessa è stata poi coerentemente tratta la conseguenza che “Il reato di chi, avendo la proprietà o l'amministrazione di una casa, la concede in locazione a scopo di esercizio di una casa di prostituzione non sussiste, pertanto, quando il locatore conceda in locazione l'immobile ad una sola donna, pur essendo consapevole che la locataria è una prostituta, e che eserciterà nella casa locata autonomamente e per proprio conto” (Sez. 3, 19.5.1999, n. 8600, C., m. 214228, cit.) e che “Non integra il reato di locazione di immobile al fine dell'esercizio di una casa di prostituzione concedere in locazione un appartamento all'interno del quale, sebbene con frequente turnazione, venga esercitata la prostituzione di volta in volta da una sola donna” (Sez. 3, 16.4.2004, n. 23657, R., m. 228971, cit.).

Questo orientamento è stato da ultimo ulteriormente confermato da Sez. 3, 28.9.2011, n. 38941, P., m. 251385 (che ha anche rilevato come non convince il contrario indirizzo: Sez. 3, 5.11.1999, n. 2730, G., m. 215760; Sez. 3, 27.2.2007, n. 21090, P., m. 236739), alle cui considerazioni, per brevità, si fa qui richiamo.

Del resto, anche sulla base della ratio legis oltre che della lettera della disposizione, appare preferibile l'interpretazione secondo cui per integrare il concetto di “casa di prostituzione”, previsto espressamente nei numeri 1 e 2 dell'art. 3 della legge 20.2.1958 n. 75, e implicitamente nel numero 3 dello stesso articolo, è necessario un minimo - anche rudimentale - di organizzazione della prostituzione, che implica una pluralità di persone esercenti il meretricio. La nozione di casa di prostituzione contenuta nella originaria proposta di legge Merlin, che la identificava in ogni “stabile appartamento o altro luogo chiuso in cui due o più persone esercitano la prostituzione”, benché scomparsa come formula definitoria nella legge 20.2.1958 n. 75, è sicuramente rimasta nella concettuologia del legislatore, il quale ha chiaramente distinto le prime tre ipotesi previste nell'art. 3, con cui intende punire l'organizzazione sotto qualsiasi forma delle soppresse “case di meretricio”, per contrastare ogni esercizio professionale di locali in cui si fa mercimonio del proprio corpo dalle altre cinque ipotesi previste nello stesso articolo, volte a reprimere penalmente ogni forma di lenocinio. A questo riguardo è significativo che per le ipotesi di reclutamento e induzione alla prostituzione il legislatore le reputi esplicitamente rilevanti sotto il profilo penale anche se riferite a una sola persona; mentre anche il favoreggiamento e lo sfruttamento della prostituzione assumono indubbiamente rilevanza anche se riferiti a una sola persona, sia per la natura intrinseca della condotta sia per il loro carattere residuale anche rispetto alle ipotesi di reclutamento e induzione. In altri termini, insomma, una lettura logica e sistematica dell'art. 3 induce a individuare nella casa di prostituzione prevista nelle prime tre ipotesi una forma organizzata di esercizio della prostituzione altrui, mentre tutte le varie condotte di lenocinio previste nelle altre ipotesi hanno rilievo penale anche se riguardano una sola prostituta (Sez. 3, 19.5.1999, n. 8600, C., cit.).

In sostanza, per ravvisare una casa di prostituzione e quindi per integrare il reato è necessario che, all'interno della stessa “casa”, vi sia un minimo di stabile organizzazione della prostituzione, implicante una pluralità di persone esercenti contestualmente il meretricio negli stessi locali, e l'intervanto di un soggetto che predisponga, sovrintenda e sfrutti l'attività delle persone che si prostituiscono, appunto alla stregua di quanto avveniva prima della legge Merlin nelle c.d. case di tolleranza.

3. Nella specie è palese che queste condizioni non sussistono. L'ordinanza impugnata individua l’organizzazione esclusivamente nel fatto che l'immobile sarebbe stato utilizzato da diverse ragazze mediante turnazione e nel fatto che “i clienti, reperiti per strada, venivano poi condotti presso l'immobile per consumare il rapporto sessuale”. Sennonché, la giurisprudenza citata ritiene che presupposto indefettibile della fattispecie sia che l'esercizio del meretricio da parte di più persone negli stessi locali avvenga contestualmente, ed afferma conseguentemente che non sussiste il reato nel caso di turnazione, sia pure frequente, tra diverse prostitute (Sez. 3, 16.4.2004, n. 23657, R., m. 228971, cit). Occorre poi che la necessaria forma di organizzazione sia presente “all'interno del locale”, sicché non può consistere nella mera circostanza che i clienti venivano portati nell'appartamento per consumare il rapporto. Anzi, entrambi questi elementi indicati dalla ordinanza impugnata dimostrano proprio che non si è in presenza di una casa di prostituzione, simile alle vecchie case di tolleranza, dove vi era invece la contestuale presenza e la contestuale attività di più prostitute e dove i clienti non venivano raccolti per strada per poi recarsi nella “casa” solo per consumare il rapporto.

4. Nella specie non sussiste nemmeno il fumus del reato di favoreggiamento della prostituzione.

Secondo l'orientamento interpretativo da tempo affermato e prevalente, non è ravvisabile il favoreggiamento della prostituzione nel fatto di chi conceda in locazione, a prezzo di mercato (mentre qualora il canone sia superiore potrebbe ipotizzarsi lo sfruttamento), un appartamento ad una prostituta, anche se sia consapevole che la locataria vi eserciterà la prostituzione (Sez. 3, 6.5.1971, n. 999, C., m. 119000; Sez. 3, 5.3.1984, n. 4996, S., m. 164513; Sez. 3, 3.5.1991, n. 6400, T., m. 188540; Sez. 3, 19.5.1999, n. 8600, C., m. 214228).

Questo orientamento, che qui deve essere ribadito, è stato da ultimo riaffermato, tra l'altro, anche da Sez. 3, 12.1.2012, n. 7076, M., m. 252099; Sez. 3, 22.5.2012, n. 36595, T., m. 253390; Sez. 3, 11.12.2012, n. 3088 del 2013, N.).

È vero che a volte, si richiamano in senso contrario Sez. 3, 23.5.2007, n. 35373, G. O., m. 237400 (secondo cui “Costituisce favoreggiamento della prostituzione il mettere a disposizione di una prostituta, anche a titolo di locazione, un appartamento, in quanto ciò costituisce attività idonea a procurare favorevoli condizioni per l'esercizio della prostituzione stessa) nonché Sez. 3, 13.4.2000, n. 8345, D., m. 217080.

In realtà, però, a parte il non condivisibile principio affermato, la sentenza G. O., nella motivazione, richiede pur sempre che, per aversi favoreggiamento, vi siano prestazioni ed attività ulteriori rispetto a quella della semplice concessione in locazione a prezzo di mercato.

La sentenza D., poi, sostiene proprio l'orientamento qui ribadito e rileva giustamente che “è vero che il legislatore incrimina chiunque favorisca 'in qualsiasi modo' la prostituzione altrui, e che la giurisprudenza corrente ritiene irrilevante per l'integrazione del reato il movente che determina la condotta... anche se è significativo sottolineare che in genere queste sentenze affermano l'irrilevanza del motivo per escludere specificamente la necessità del fine di lucro o del fine di servire l'altrui libidine. Ma è pur sempre necessario che la condotta materiale concreti oggettivamente un aiuto all'esercizio del meretricio in quanto tale. Se invece l'aiuto è prestato solo alla prostituta in quanto persona, non può configurarsi il reato di favoreggiamento, se non a costo di conseguenze aberranti non solo sul piano dell'etica e del senso comune ma anche in rapporto alla ratio e alla intentio legis. A ben vedere, è proprio per evitare queste aberrazioni che una giurisprudenza ormai affermata ha escluso il favoreggiamento della prostituzione nel fatto di chi concede in locazione un appartamento a una prostituta, anche se sia consapevole che la locataria vi eserciterà la prostituzione (cfr. Cass. Sez. 3, n. 4996 del 29.5.1984, ud. 5.3.1984, S., rv. 164513; Cass. Sez. 3, n. 6400 del 10.6.1991, ud. 3.5.1991, T., rv. 188540). Infatti, se la locazione non è concessa allo scopo specifico di esercitare nell'immobile locato una casa di prostituzione (nel qual caso ricorrerebbe l'ipotesi di cui al n. 2 dell'art. 3 legge 75/1958), la condotta del locatore non configura propriamente un aiuto alla prostituzione esercitata dalla locataria, ma semplicemente la stipulazione di un contratto attraverso cui è consentito a quest'ultima di realizzare il suo diritto all'abitazione. Insomma l'aiuto (o più esattamente il negozio giuridico) riguarda la persona e le sue esigenze abitative, e non la sua attività di prostituta. È vero che indirettamente ne è agevolata anche la prostituzione; ma questo rapporto indiretto non può essere incluso nel nesso causale penalmente rilevante tra condotta dell'agente ed evento di favoreggiamento della prostituzione... In verità - com'è noto - secondo la legge 75/1958 la prostituzione per se stessa non è prevista come reato, mentre è penalmente sanzionata ogni attività che induca, favorisca o sfrutti la prostituzione altrui, giacché il legislatore è mosso dallo scopo evidente di evitare che il mercimonio del sesso (penalmente irrilevante, ma socialmente riprovevole) sia comunque incentivato o agevolato da interessi o da comportamenti di terzi. Orbene, anche quando il reato previsto è a forma libera (come il favoreggiamento e lo sfruttamento, che possono essere commessi 'in qualsiasi modo'), la condotta dell'agente deve essere legata all'evento da un nesso causale penalmente rilevante. Poiché l'evento del reato non è la prostituzione, bensì - nella fattispecie de qua - l'aiuto alla prostituzione, ciò significa che esula il reato ove la condotta dell'agente non abbia cagionato un effettivo ausilio per il meretricio, nel senso che questo sarebbe stato esercitato ugualmente in condizioni sostanzialmente equivalenti. È alla luce di questi principi che appare corretta e condivisibile anche quella giurisprudenza secondo cui chi fa il cameriere al servizio di una donna che si prostituisce non incorre nel reato di favoreggiamento se la sua opera non oltrepassa i limiti delle mansioni tipiche del collaboratore domestico: sicché aprire la porta e colloquiare con le persone in attesa, pur con la piena consapevolezza delle ragioni della visita di costoro, non costituiscono fatti specifici di interposizione personale, idonei a facilitare l'esercizio della prostituzione (Cass. Sez. 3, n. 2296 del 23.2.1999, ud. 13.1.1999, N., rv. 213155); mentre incaricarsi delle iscrizioni pubblicitarie, anche da parte di una collaboratrice domestica, integra il favoreggiamento (Cass. Sez. 3, n. 6280 del 6.7.1983, c.c. 11.4.1983, A., rv. 159795)”.

5. Deve pertanto essere qui confermato il principio che non è ravvisabile il favoreggiamento della prostituzione nel fatto di chi concede in locazione a prezzo di mercato un appartamento ad una prostituta, anche se sia consapevole che la conduttrice vi eserciterà la prostituzione.

La locazione di un appartamento ad una prostituta anche per svolgervi l'attività potrebbe eventualmente integrare il favoreggiamento esclusivamente qualora, oltre al godimento dell'immobile, vengano dal locatario fornite ulteriori specifiche prestazioni o attività che esulino dall'ambito del contratto di locazione ed in concreto agevolino l'esercizio della prostituzione, come nei casi, esaminati dalla giurisprudenza, del locatario che si incarichi delle inserzioni pubblicitarie, o fornisca profilattici, o aiuti a ricevere i clienti, e così via. Nella specie, non è stato nemmeno prospettato che l'indagato abbia in concreto fornito prestazioni ed attività ulteriori rispetto a quella della semplice concessione in godimento dell'appartamento.

6. La locazione ad una prostituta di un appartamento anche per svolgervi l'attività potrebbe invece integrare il diverso reato di sfruttamento della prostituzione qualora vi sia la prova che il locatore, attraverso la riscossione di un canone sicuramente esagerato e sproporzionato rispetto a quelli di mercato, tragga un ingiusto vantaggio economico dalla prostituzione altrui.

Nella specie, questa sproporzione ed esagerazione non risultano in alcun modo, anche perché dovrebbe valutarsi se il corrispettivo, come afferma il ricorrente, comprendesse anche le spese per le utenze di luce, gas e acqua. Per questa ragione, del resto, non è stata contestata e non è stata ritenuta configurabile l'ipotesi dello sfruttamento della prostituzione.

7. Non è poi ovviamente configurabile nemmeno in astratto il reato di cui all'art. 3, n. 3, della legge 20 febbraio 1958, n. 75, il quale punisce “chiunque, essendo proprietario, gerente o preposto a un albergo, casa mobiliata, pensione, spaccio di bevande, circolo, locale da ballo, o luogo di spettacolo, o loro annessi e dipendenze o qualunque locale aperto al pubblico od utilizzato dal pubblico, vi tollera abitualmente la presenza di una o più persone che, all'interno del locale stesso, si danno alla prostituzione”.

Il delitto di tolleranza abituale della prostituzione, invero, richiede che si tratti di un locale aperto al pubblico od utilizzato dal pubblico (quale albergo, casa mobiliata, pensione, spaccio di bevande, circolo, locale da ballo, o luogo di spettacolo), nel cui interno il preposto, gerente o proprietario tolleri abitualmente la presenza di persone che esercitino la prostituzione.

Da tale disposizione si ricava anche che la mera tolleranza dell'altrui prostituzione in locali non aperti al pubblico o non utilizzati dal pubblico, di per sé, non è prevista come reato.

Del resto, il comma 2 dell'art. 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, prevede, in caso di accertamento della condotta di tolleranza abituale della prostituzione, le pene accessorie della perdita della licenza d'esercizio od anche della chiusura definitiva dell'esercizio, evidentemente inapplicabili nella fattispecie in esame.

Ne consegue che l'ipotesi in esame - tolleranza - nella specie non sarebbe prospettabile, non trattandosi di locali aperti al pubblico o utilizzati dal pubblico.

8. Infine, per completezza, deve osservarsi che non è configurabile nemmeno il reato di cui all’art. 3, n. 4, legge 20 febbraio 1958, n. 75, di reclutamento di prostitute, ipotizzato dal PM, ma escluso giustamente dal Gip e dal tribunale del riesame. Non risulta invero dalla ordinanza impugnata il benché minimo elemento che possa far pensare che l'indagato avesse “reclutato una persona al fine di farle esercitare una persona”.

Secondo la giurisprudenza, invero, il reclutamento o ingaggio di prostitute “consiste essenzialmente nell'ingaggio di persone per l'esercizio della prostituzione e si concreta nell'attività di ricerca dell'agente e nella persuasione della donna ingaggiata, mediante la rappresentazione dei guadagni realizzabili, a recarsi in un determinato luogo per prostituirsi. L'ingaggio può avvenire per conto dello stesso agente o per conto altrui e, quando l'ingaggio si esaurisce nell'opera di intermediazione, non è necessario che la prostituta rimanga nella disponibilità del reclutante anche per brevissimo tempo” (Sez. 3, 9.11.1990, n. 16900, B., m. 186080); “Il delitto di reclutamento di prostitute si esaurisce e si concreta nell'attività di ricerca di persone da ingaggiare e in quella di persuasione delle medesime a recarsi in un determinato luogo per l'esercizio della prostituzione, a nulla rilevando, a tale fine, che a siffatta attività sia seguito l'effettivo esercizio della prostituzione” (Sez. 6, 7.12.2006, n. 4137 del 2007, B., m. 235605); “Il delitto di reclutamento di prostituta si realizza allorché l'agente si attivi alfine di 'collocare' la vittima dell'azione delittuosa nella disponibilità del soggetto che intende trarre vantaggio dall'attività di meretricio” (Sez. 3, 4.12.2007, n. 11835 del 2008, F., m. 239332).

Si tratta di elementi che nella specie non sono stati nemmeno prospettati.

9. L'orientamento che qui si è confermato nel senso della inesistenza del reato di favoreggiamento nel caso di locazione di un appartamento ad una prostituta per soddisfare le sue esigenze abitative o anche per svolgervi la prostituzione appare, del resto, conforme anche ad una interpretazione sistematica e razionale del sistema normativo, che peraltro tenga anche conto dell'evoluzione della oggettiva ratio legis e dei beni ed interessi sociali tutelati.

La giurisprudenza si è invero andata evolvendo nel senso di ritenere, ad esempio, che non integra il reato di favoreggiamento della prostituzione la condotta del gestore di un sito internet, che pubblichi gli annunci pubblicitari delle prostitute, quand'anche corredati delle foto, senza svolgere alcuna attività di collaborazione organizzativa, come ad esempio la predisposizione di servizi fotografici nuovi, dal momento che tale condotta, al pari di quella del direttore di un tradizionale organo di informazione a mezzo stampa, che pubblichi annunci pubblicitari dell'attività svolta da prostitute, deve essere “considerata come un normale servizio svolto a favore della persona” che esercita il meretricio e non della prostituzione (Sez. 3, 12.1.2012, n. 4443, M., m. 251971; Sez. 3, 18.3.2009, S., n. 244266); o la condotta del conducente di un taxi, che si limiti ad accompagnare con l'autovettura sul luogo di lavoro persone dedite al meretricio, anche fuori dall'orario di servizio, facendo pagare le ordinarie tariffe per la corsa, in quanto tale attività costituisce adempimento dell'obbligazione oggetto del contratto di trasporto (Sez. 3, 14.6.2007, n. 35718, C., m. 237551); o la condotta dell'albergatore che si limiti a fornire alle prostitute la disponibilità delle camere, alla normale tariffa, senza porre in essere ulteriori attività di specifica agevolazione del meretricio, quali la mancata identificazione dei clienti e la loro noti registrazione (Sez. 3, 23.11.2006, n. 41620, P., m. 235468; Sez. 3, 12.10.1999, n. 13584, R., m. 215280).

In tutti questi casi si tratta di soggetti che stipulano con la prostituta un normale negozio giuridico fornendo una prestazione o un servizio al pari di quelli che renderebbero a qualsiasi altra persona e che giustamente non vengono considerati responsabili di favoreggiamento solo perché il rapporto intercorre con una prostituta, sebbene la pubblicazione della pubblicità sul quotidiano e sul sito internet, o l'affitto ad ore di una camera d'albergo, o l'accompagnamento in taxi siano obiettivamente tali da agevolare l'attività della prostituta.

Non si vede pertanto la ragione per la quale la condotta del proprietario di un appartamento, che si limiti a darlo in godimento a prostitute perché vi abitino o vi esercitino l'attività, senza ulteriori e diverse prestazioni agevolatrici, debba invece rispondete di favoreggiamento della prostituzione, a differenza del gestore dell'albergo, o del direttore del quotidiano, o del tassista, o di chiunque altro fornisca una prestazione o un servizio alla prostituta.

10. Deve inoltre ricordarsi, in relazione alla necessità di interpretare il sistema conformemente alla obiettiva evoluzione della ratio legis e degli interessi e beni tutelati, come di recente la sentenza Sez. 3, 29.1.2013, n. 20384, B. (non ancora massimata) abbia assai perspicuamente e condivisibilmente osservato che bisogna muovere “dal punto fermo rappresentato dalla scelta del legislatore di considerare attività non vietata, e dunque in sé lecita, quella che la persona liberamente svolge scambiando la propria fisicità contro denaro”, ed ha ricordato che “la giurisprudenza ha nel tempo maturato decisioni via via più affinate sul piano culturale ed ermeneutico con riferimento alle condotte... di chi a vario titolo interagisce professionalmente” con la persona che liberamente si prostituisce, riferendosi specificamente a “coloro che le assicurano servizi o beni legati all'attività svolta, dall'albergatore al taxista al titolare dell'alloggio locato”. La sentenza ha quindi ribadito che “le sanzioni penali fissate dalla legge 20 gennaio 1958, n. 75 debbono essere applicate a coloro che condizionano la libertà di determinazione della persona che si prostituisce, a coloro che su tale attività lucrano per finalità di vantaggio e, infine, a coloro che offrono un contributo intenzionale all'attività di prostituzione eccedendo i limiti dell'ordinaria prestazione di servizi”. Esattamente poi viene sottolineata la necessità di non operare interpretazioni tali “da reintrodurre surrettiziamente presupposti di illiceità 'in sé' della prostituzione che vengono formalmente ed espressamente negati e che, invece, potrebbero finire per qualificare come illegali condotte e prestazioni di servizi alla prostituta che non risulterebbero penalmente rilevanti se destinati ad altre attività”.

D'altra parte” la legge Merlin aveva come finalità anche la tutela della libertà di autodeterminazione della prostituta, del libero svolgimento della sua attività e della sua dignità. Non pare che corrisponda a questa finalità una interpretazione che, impedendo in sostanza alle medesime la locazione di un appartamento ove svolgere liberamente la loro lecita attività, le costringa ad esercitarla per la strada, con maggiori pericoli, anche di sfruttamenti e di costrizioni. Inoltre, sarebbe intrinsecamente manifestamente illogico un sistema normativo che, da una parte, qualifichi come lecita l'attività della prostituta svolta liberamente e, dall'altra parte, contemporaneamente vieti una normale prestazione alle stesse di beni e servizi alle medesime condizioni alle quali sono prestati in relazione ad altre attività.

11. Nel caso in esame gli appartamenti sono stati locati ad un canone che può rientrare tra quelli di mercato; non esistono gli elementi necessari per l'esistenza di una casa di prostituzione né quelli per configurare una ipotesi di tolleranza abituale della prostituzione in locali aperti al pubblico o utilizzati dal pubblico. Non risulta che il locatore, oltre al godimento dell'appartamento, abbia fornito in concreto ulteriori prestazioni ed attività diverse da quelle che potrebbe fornire a qualsiasi inquilino. Non è dunque configurabile, neppure in astratto, il fumus del reato di favoreggiamento della prostituzione, a nulla rilevando in contrario la circostanza che, eventualmente, le conduttrici avessero locato l'appartamento (non solo per abitarvi ma anche) per svolgervi l'attività di prostituzione, che il locatore fosse a conoscenza di questa destinazione, e che vi sia stata una successione di conduttrici, anche per periodi non lunghi.

12. Restano pertanto assorbiti gli altri motivi, compreso quello relativo alla insussistenza del periculum in mora, pur apparendo opportuno comunque rilevare che su quest'ultimo punto la motivazione è effettivamente apodittica, di stile, e quindi meramente apparente.

Di conseguenza, devono essere annullati senza rinvio l'ordinanza impugnata nonché il decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip del tribunale di Ancona il 24.7.2012. Va quindi ordinata la restituzione dei beni sequestrati all'avente diritto.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata nonché il decreto di sequestro preventivo del Gip del tribunale di Ancona del 24.7.2012 e ordina la restituzione di quanto in sequestro all'avente diritto.

Manda alla cancelleria per le comunicazioni prescritte dall'art. 626 cod. proc. pen..

 

 

 

 

 

 

 

Scritto il 13 aprile 2010 ed aggiornato il 24 settembre 2013

 

 

 

 

 

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