LA CASSAZIONE
GRAZIA ANCORA UNA LUCCIOLA
La Suprema Corte di
Cassazione Italiana con la Sentenza n. 39080/2019 ha graziato ancora
un’altra prostituta stradale dal Foglio di Via Obbligatorio ai sensi del
Decreto Legislativo 159/2011.
La giurisprudenza in
merito è la stessa delle pronunce precedenti ed in quest’occasione il medesimo Organo
Giudicante ha volto sottolineare come i fatti in merito alla commissione di
reati da parte della persona interessata devono essere concreti e non certo
supposti in via aleatoria e/o previsti come concausa di altri soggetti e/o
condizioni, come le probabili risse per la presenza di una persona che si
prostituisce sulla via in abiti succinti. Difatti, quest’ultima situazione
potrebbe essere possibile anche per una semplice donna vestita nella stessa
maniera che passeggia per il centro di una città. In altre parole, prima
d’emanare il Decreto d’allontanamento in questione, bisogna valutare
bene tutte le connesse circostanze, fondate esclusivamente su reati e
pericolosità della pubblica sicurezza, rilevando oltretutto una situazione
reale in merito all’emanazione del citato provvedimento, senza alcun abuso
repressivo.
S’elenca di seguito il
testo della suddetta Sentenza.
CORTE DI CASSAZIONE
Penale Sent. Sez. 1 Num. 39080 Anno 2019
Presidente: T. A.
Relatore: S. V.
Data Udienza: 01/04/2019
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
M. A. nata a (omissis) il (omissis)
avverso la sentenza del 25/09/2017 della CORTE APPELLO
di ROMA
visti
gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere V. S.;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore P. C.
che
ha concluso chiedendo quanto segue:
Il Proc. Gen. conclude per l'annullamento senza rinvio
della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
RITENUTO
IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe, resa il 25 settembre - 12 ottobre 2017, la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza emessa il 7 aprile 2016 dal Tribunale di Velletri che aveva ritenuto A. M. - imputata del reato di cui agli artt. 2 e 76, n. 3, d.lgs. n. 159 del 2011, con riferimento alla mancata ottemperanza a quanto aveva disposto il Questore di Roma con foglio di via obbligatorio notificatole il 20 dicembre 2011 e al conseguente divieto di rientro nel Comune di Velletri per anni due, reato commesso in questa località, il 25 marzo 2013 - responsabile del reato ascrittole e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, l'aveva condannata alla pena di giorni venti di arresto, con concessione della sospensione condizionale della pena stessa.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il
difensore dell'imputata chiedendone l'annullamento e affidando l'impugnazione a
due motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce vizio di
motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato,
con travisamento del contenuto del provvedimento amministrativo presupposto.
Secondo la ricorrente, nel provvedimento
amministrativo, era indicata la zona Lazzaria come
luogo in cui A. M. era stata vista esercitare l'attività di prostituzione
aggiungendosi che in quella zona insistevano un centro commerciale, una scuola
e due agriturismi, in uno dei quali si svolgeva ippoterapia per bambini
diversamente abili: ma, contrariamente a quanto aveva affermato la Corte di
appello, il provvedimento non aveva indicato la prossimità fra il luogo di
esercizio della prostituzione e quelle strutture, con conseguente, evidente
travisamento in cui è caduta la sentenza impugnata.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia violazione di
legge. Il giudice penale - sottolinea la difesa - può sindacare la legittimità
del provvedimento disponente il foglio di via obbligatorio per verificare la
sua conformità alle prescrizioni normative e, contrariamente a quanto hanno
ritenuto i giudici di merito, non sussisteva la, solo asserita, prossimità fra
il luogo in cui era stata controllata l'imputata e le suddette strutture, né la
motivazione poteva risolversi nella soltanto ipotetica prospettazione che
l'imputata avrebbe potuto compiere atti osceni in luogo pubblico adescando o
molestando i passanti che si recavano nel centro commerciale e, così,
determinando assembramenti suscettibili di far insorgere litigi fra le persone:
questi riferimenti, data la loro genericità, hanno finito per riconoscere che
il provvedimento del questore era fondato esclusivamente sull'attività di
prostituzione esercitata dall'imputata, senza, però, che la stessa potesse
essere inquadrata in una delle categorie di persone destinatarie delle misure
di prevenzione di cui all'art. 1 d.lgs. n. 159 del 2011: in particolare,
l'offesa o la messa in pericolo dell'integrità morale dei minorenni, la sanità,
sicurezza e tranquillità pubblica, per assumere rilevanza ai fini
dell'emissione del provvedimento di allontanamento disciplinato dall'art. 2
d.lgs. cit., avrebbe dovuto discendere da veri e propri reati ascrivibili al
soggetto, non invece da una condotta in sé non costituente reato, perché in
quest'ultimo caso l'offesa suddetta restava al livello meramente ipotetico. In
corrispondenza di ciò, secondo la ricorrente, avrebbe dovuto rilevarsi che
l'ordine impartito dal Questore di Roma il 20 dicembre 2011 non aveva indicato
le caratteristiche soggettive della persona ritenuta pericolosa per la
sicurezza pubblica, radicandone i connotati nell'ambito delle categorie sopra
richiamate, ma si era limitato a esporre le generiche note già citate, così
offrendo una motivazione carente del requisito legittimante l'atto stesso,
sicché i giudici di merito hanno errato nell'omettere la dovuta disapplicazione
di esso.
3. Il Procuratore generale ha chiesto l'annullamento
senza rinvio della sentenza impugnata, poiché, in relazione alle connotazioni
della fattispecie oggetto della contestazione, non risultano integrati gli
elementi costitutivi previsti dalla norma incriminatrice.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La Corte ritiene che il ricorso - valutati unitariamente
i motivi dedotti - sia fondato nei sensi che seguono e vada quindi accolto.
Determinante è, invero, considerare che - nello scrutinio del provvedimento
amministrativo, integrante il presupposto della
condotta contravvenzionale ritenuta - i giudici di merito sono incorsi
nell'erronea applicazione della norma di diritto costituita dall'art. 1, comma
1, lett. c), d.lgs. n. 159 del 2011, di cui si deve tenere conto
nell'applicazione della legge penale.
2. Si premette che l'art. 2 d. Igs. n. 159 del 2011 - al pari dell'art. 2 legge n. 1423
del 1956, di cui il primo ha disposto l'abrogazione reiterando, peraltro, con
effetto di continuità normativa, le medesime previsioni - stabilisce che,
qualora le persone indicate nell'art. 1 della stessa legge siano pericolose per
la sicurezza pubblica e si trovino fuori dei luoghi di residenza, il questore
può rimandarvele con provvedimento motivato e con foglio di via obbligatorio,
inibendo loro di ritornare, senza preventiva autorizzazione ovvero per un
periodo non superiore a tre anni, nel Comune dal quale sono allontanate. L'art.
76, comma 3, d.lgs. cit. sanziona la contravvenzione costituita dall'inosservanza
dell'ordine del questore con l'arresto da uno a sei mesi.
2.1. Circa la norma con la quale il suddetto quadro
normativo incriminatore istituisce la relatio,
ossia l'ad 1 d.lgs. n. 159 del 2011 (già art. 1
legge n. 1423 del 1956, come a suo tempo sostituito, con più rigorosa
delimitazione e tipizzazione dei soggetti pericolosi, dall'art. 2 legge 3
agosto 1988, n. 327), tale disposizione indica quali categorie di persone
possono essere destinatarie del provvedimento del questore e del conseguente
foglio di via obbligatorio:
1) coloro che siano ritenuti, sulla base di elementi
di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi;
2) coloro che per la condotta ed il tenore di vita
siano ritenuti, sulla base di elementi di fatto, vivere abitualmente, anche in
parte, con i proventi di attività delittuose;
3) coloro che per il loro comportamento siano ritenuti,
sulla base di elementi di fatto, dediti alla commissione di reati che offendono
o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la
sicurezza o la tranquillità pubblica.
Va immediatamente precisato che è stata dichiarata (da
Corte cost., sent. n. 24 del 2019) l'illegittimità
costituzionale della suddetta disposizione nella parte in cui consente di
applicare le misure di prevenzione della sorveglianza speciale, con o senza
obbligo o divieto di soggiorno, del sequestro e della confisca, ai soggetti
indicati nell'art. 1, numero 1), legge n. 1423 del 1956, poi confluito
nell'art. 1, lettera a), d.lgs. n. 159 del 2011 (coloro che debbano ritenersi,
sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi).
2.2. Definita anche per tale verso la norma su cui il
questore ha basato il suo provvedimento, deve poi considerarsi che l'atto del
questore, previsto dall'art. 2 della legge citata, alla cui emanazione consegue
il foglio di via obbligatorio, costituisce un provvedimento di natura
amministrativa caratterizzato da un'ampia discrezionalità, di natura
notevolmente restrittiva, e idoneo a produrre effetti giuridici immediati nella
sfera giuridica del destinatario, per cui si è giustamente argomentato che alla
sua adozione è sempre necessario far precedere l'effettuazione di un'attenta
indagine avente ad oggetto tutti gli elementi giustificativi della sua
adozione, configurabili come indefettibili presupposti della sua legittimità.
Naturalmente, il giudice non può sostituirsi all'autorità amministrativa nella
valutazione circa la pericolosità della persona destinataria del provvedimento
in questione, in quanto in tal modo eserciterebbe un inammissibile sindacato
giurisdizionale di merito sull'atto amministrativo. Tuttavia, è del pari
assodato che il giudice può e deve valutare la legittimità dell'atto
amministrativo, in quanto essa costituisce il presupposto necessario del
giudizio in ordine alla commissione del reato oggetto della sua cognizione; è,
quindi, abilitato a svolgere il sindacato di legittimità sul provvedimento
consistente nella verifica della sua conformità alle
prescrizioni di legge: e tra tali prescrizioni deve annoverarsi l'obbligo di
motivazione sugli elementi da cui viene desunto il giudizio di pericolosità del
soggetto. Pertanto, se all'esito di tale valutazione
il giudice ritiene l'illegittimità dell'atto
stesso, deve disapplicarlo, con le ineludibili conseguenze per la verifica
dell'integrazione della fattispecie al suo esame (arg., fra le altre, ex Sez 5, n.
30915 del 21/06/2016, T., n. m.; Sez. 1, n. 26674 del
21/03/2016, M., n. m.; Sez. 1, n. 44221 del
17/09/2014, C., Rv. 260897).
2.3. Quanto allo spettro che deve
connotare l'indicata verifica, non è inutile ricordare come, secondo
l'interpretazione qui condivisa, la conformità a legge del provvedimento di
rimpatrio con foglio di via obbligatorio debba essere accertata dal giudice
penale alla luce dei parametri dell'incompetenza, della violazione di legge ed
anche dell'eccesso di potere (v. Sez. 1, n. 28549 del 18/06/2008, G., 241084,
anche per la specificazione che, per quanto riguarda particolarmente l'eccesso
di potere, esso è suscettibile di cognizione da parte del giudice ordinario,
non solo nella configurazione dello sviamento di potere, ma anche nelle figure
sintomatiche elaborate dalla giurisprudenza amministrativa).
3. Premesso ciò, si rileva che la sentenza impugnata
ha ritenuto estraibile dal provvedimento del Questore di Roma del 20 dicembre
2011, notificato ad A. M. in pari data, il giudizio di pericolosità
dell'imputata per essere stata, la stessa, colta mentre esercitava il
meretricio in Velletri, contrada Lazzaria, in una
zona nell'ambito della quale insistevano un centro commerciale, una scuola e
due centri di agriturismo, uno dei quali era frequentato da bambini
diversamente abili per lo svolgimento dell'ippoterapia: da ciò - secondo il
contenuto del provvedimento riportato in sentenza - era stato dedotto che la
prossimità del luogo rispetto al centro commerciale, frequentato notoriamente
da persone di sesso maschile, avrebbe potuto suscitare l'occasione per il
compimento da parte dell'imputata di atti osceni in luogo pubblico,
adescamenti, molestie ai passanti e altri atti idonei a creare assembramenti e,
con essi, litigi tra le persone.
3.1. Orbene, alla stregua delle coordinate
generali ora indicate, si rileva che la verifica di legittimità operata dalla
Corte territoriale del provvedimento del Questore, costituente l'atto
presupposto della contravvenzione oggetto del presente processo, ha recepito
senza agganci logici e giuridici sufficienti una motivazione che non si correla
effettivamente con la fattispecie di cui alla lett. c) dell'art. 1, comma 1,
d.lgs. n. 159 del 2011, in cui affatto dirimente è - secondo la
disposizione vigente - il riferimento ai reati a cui, per il comportamento serbato, il soggetto debba ritenersi dedito. Sul punto il discorso giustificativo si profila
apparente e, comunque, inadeguato per
l'accertamento e la verifica dell'addotta pericolosità dell'imputata. Occorre rilevare che il riferimento in qualche
misura rinvenibile nelle considerazioni della
Corte territoriale, come rifrazione del contenuto del
provvedimento amministrativo, al comportamento di adescamento
dell'imputata - a parte la natura meramente ipotetica
di tale, soltanto paventata, azione desumibile
dalla parte di provvedimento analizzata dalle decisioni di merito – non può connettersi a condotta in sé antigiuridica
penalmente, atteso che la relativa fattispecie
contravvenzionale, già prevista dall'art. 5 della legge n. 75 del 1958, è stata abrogata dall'art. 81 della legge n. 689
del 1981. Né il riferimento a non meglio
precisati comportamenti osceni, in relazione alla
presenza in loco di un centro commerciale e delle altre strutture sopra indicate - rilevata la carenza di concreti elementi
di fatto idonei a specificare il comportamento
effettivamente serbato da A. M. - può ritenersi bastevole
a configurare la pericolosità dell'imputata, essendo restata su un piano meramente astratto la possibilità che ella
commettesse, con la sua condotta, atti osceni
in luogo pubblico. Si è già chiarito
sull'argomento che l'atto dell'adescamento stradale della clientela e comunque l'offerta pubblica della
prestazione sessuale non implicano la
pubblicità del luogo di adempimento del negozio immorale, né la commissione di reati in danno dei minorenni (v., fra le
altre, Sez. 1, n. 41738 del 16/09/2014, R., Rv. 260515).
3.2. In definitiva, il provvedimento, per come
richiamato e analizzato dalla sentenza impugnata, appare privo di ogni reale
motivazione giustificativa della qualificazione di M. come appartenente alla
categoria delle persone elencate nella lett. c) dell'art. 1, comma 1, d.lgs. n.
159 del 2011, categoria in cui si desume essere stata quella in cui, secondo il
foglio di via, era da inserire la destinataria dell'atto: lo stesso, più o meno
sotteso, riferimento all'integrità fisica e morale dei minorenni e alla
sicurezza pubblica - siccome risulta avulso da ogni concreto riscontro di
attività comprovatamente antigiuridica che potesse e possa essere ascritta
direttamente alla medesima, al di là del generale richiamo dell'esercizio da
parte sua dell'attività di meretricio con stazionamento su una pubblica strada
- si profila slegato da un congruo quadro di agganci dimostrativi e inadeguato
a sorreggere la collocazione dell'imputata nella categoria indicata.
4. L'insufficienza dei riferimenti alla pericolosità
alla base dell'atto del Questore - su cui la motivazione della sentenza
impugnata ha mancato di esercitare il vaglio dovuto e rilevare che esso
risultava generico rispetto alla situazione afferente alla condotta valutata -
non poteva e non può essere obliterata, tenendo fede alla lettura della norma
incriminatrice costantemente operata anche in sede di verifica della sua
legittimità, fin da quando, pure con riguardo all'originario testo dell'art. 1
legge n. 1423 del 1956, la norma è stata ritenuta (da Corte cost., sent. n. 32 del 1969) legittima, in relazione agli artt. 3
e 13 Cost., essendosi però da subito precisato che "anche
nell'esercizio del potere discrezionale l'autorità amministrativa non è libera
nelle sue determinazioni", siccome "essa deve aver sempre di mira il
conseguimento dei fini ad essa assegnati, e non può discostarsene, e deve
operare ponderando adeguatamente e imparzialmente i diversi interessi, pubblici
e privati, implicati nella fattispecie", sicché, riconosciuta la
legittimità del provvedimento di identificazione concreta di coloro che vanno
compresi nelle categorie di persone pericolose per la sicurezza e per la
pubblica moralità, deve specificarsi che l'elencazione è "tassativa, ma
non anche vincolante, nel senso che il solo fatto di essere compresi in una di
quelle categorie renda obbligatoria, nei confronti di tutti coloro che vi appartengono,
l'adozione di misura di prevenzione", con l'effetto che
"l'appartenenza a quelle categorie è invero condizione necessaria, ma non
sufficiente per la sottoposizione a misure di prevenzione: perché in concreto
tali misure possano essere adottate, occorre, infatti, anche un particolare
comportamento che dimostri come la pericolosità sia effettiva ed attuale e non
meramente potenziale". D'altro canto, il Giudice delle leggi ha
successivamente ribadito, sempre con riguardo all'originario testo della norma,
che non è esatto sostenere che il questore possa a suo arbitrio sottoporre le
persone elencate nell'art. 1 legge n. 1423 del 1956 a misure di prevenzione, in
guisa da equiparare chi nessun reato ha commesso a chi invece ha rivelato la
sua pericolosità mediante la perpetrazione di specifici e sintomatici delitti,
perché in realtà, per l'una e per l'altra categoria, ciò che conta è l'accertamento,
caso per caso, di una concreta attuale e specifica pericolosità desunta da un
particolare comportamento, per cui è proprio tale comportamento, e il giudizio
che ne deriva, ad equiparare le due posizioni, sicché la discrezionalità
dell'Autorità di pubblica sicurezza è vincolata dalla natura dell'accertamento
ai fini che il provvedimento deve conseguire e il residuo margine di
discrezionalità resta pur sempre soggetto al controllo del giudice che - nel
verificare l'inosservanza del provvedimento - ha il potere di valutarne la
razionalità e l'imparzialità (così Corte cost., sent.
n. 384 del 1987).
4.1. Tale impostazione - vieppiù dopo la
sostituzione dell'art. 1 legge n. 1423 del 1956 con legge n. 327 del 1988 -
costituisce un dato da tempo acquisito nella giurisprudenza costituzionale, nel
senso che il giudizio prognostico deve fondarsi sulla sussistenza di elementi di fatto, in ossequio al
principio del ripudio del mero sospetto come presupposto per l'applicazione
delle misure in esame (v. la motivazione di Corte cost., sent. n. 419 del 1994, anche in riferimento alle
considerazioni svolte in precedenza da Corte cost., sent.
n. 177 del 1980). Nell'attuale prospettiva, poi, occorre ribadire che,
con specifico riferimento all'art. 1, comma 1,
lett. c), d. Igs. n. 159 del 2011, l'offesa o la
messa in pericolo dei beni costituiti
dall'integrità fisica o morale dei minorenni, dalla sanità,
dalla sicurezza o dalla tranquillità pubblica deve derivare, per rilevare al fine del giudizio di pericolosità richiesto dalla
norma, da veri e propri reati ascrivibili al
soggetto, non da una condotta in sé non costituente reato
(Sez. 1, n. 32397 del 02/03/2017, P., n. m.).
4.2. E però le connotazioni prive di concretezza del
provvedimento amministrativo valutato dalla Corte territoriale non risultano,
per le ragioni esposte, affatto adeguate alla corrispondente dimostrazione,
impregiudicata restando ogni ulteriore valutazione, qui non attinente, del
comportamento dell'imputata sul piano etico-sociale e del suo tasso di
eventuale riprovevolezza per altri rami dell'ordinamento.
5. Diviene, pertanto, necessario concludere che, in
carenza del presupposto soggettivo di appartenenza della destinataria del
provvedimento di prevenzione ad alcuna delle categorie delle persone pericolose
di cui all'art. 1 d. Igs. n. 159 del 2011, il foglio
di via obbligatorio emesso ex art. 2 d. Igs. cit.
risulta
illegittimo. Esso, pertanto, doveva e, in ogni caso,
deve essere incidenter tantum
disapplicato dal giudice penale: consegue che l'inosservanza del provvedimento
emesso dal Questore di Roma in data 20 dicembre 2011 resta priva di rilevanza
penale. Ne deriva l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, perché
il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il
fatto non sussiste.
Così deciso in data 1° aprile 2019
Il Consigliere Estensore: V. S.
Il Presidente: A. T.
Scritto il 23 ottobre 2019