LUCCIOLA GRAZIATA ANCORA DALLA CASSAZIONE
Con la Sentenza n. 40883/2015 la Corte di Cassazione ha nuovamente riconfermato la non sussistenza
del Foglio di Via Obbligatorio per
le lucciole da strada, se esse stesse si limitano ad essere unicamente tali,
ovvero senza avere il sospetto concreto di compiere dei reati dannosi per la
pubblica sicurezza, a prescindere dalla pubblica moralità. Il tutto ai sensi
del D.Lgs. 159/2011, che ha sostituito la vecchia
Legge 1423/1956.
Si mostra di seguito il
testo relativo.
Penale Sent. Sez. 1 Num. 40883 Anno 2015
Presidente: C. S.
Relatore: C. M.
Data
Udienza: 06/10/2015
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
U. I. n. il (omissis)
avverso la sentenza n. 2792/2012 CORTE APPELLO di
ANCONA, del 14/06/2013 visti gli atti, la sentenza e il ricorso udita in
PUBBLICA UDIENZA del 06/10/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. M. C.
Ritenuto in fatto.
1. Il 14
giugno 2013 la Corte d'appello di Ancona confermava la sentenza emessa il 22
giugno 2012 dal Tribunale di Fermo, sezione distaccata di S'Elpidio a Mare che,
all'esito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato U. I. colpevole del reato di
cui all'art. 2 1. n. 1423 del 1956 e successive modifiche e, tenuto conto della
diminuente per il rito, l'aveva condannata alla pena di venti giorni di
arresto.
2. Entrambi i giudici di merito argomentavano che
l'imputata, esercitando l'attività di prostituzione per strada, in prossimità
di civili abitazioni, con atteggiamenti "scandalosi e adescatori"
rientra tra le persone di cui all'art. 1 n. 3 (<<persone dedite alla
commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o
morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza e la tranquillità
pubblica>>) e che la prostituzione, quando è esercitata sulle pubbliche
vie, incide (o può potenzialmente incidere) sui giovani e sugli adolescenti.
Pertanto il provvedimento del Questore era stato adottato in presenza dei
requisiti di legge ed era legittimo e, in quanto tale, costituiva il valido
presupposto del reato contestato.
3. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso
per cassazione, tramite il difensore di fiducia, l'imputata, la quale lamenta
violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento alla ritenuta
sussistenza degli elementi costitutivi del reato, non ricorrendo i presupposti
della pericolosità richiesta dalla legge alla luce dei comportamenti posti in
essere e, quindi, le condizioni per la valida emissione del provvedimento di
foglio di via obbligatorio che ben può essere oggetto della valutazione
incidentale da parte del giudice penale.
Osserva in diritto.
Il ricorso è fondato.
1. Occorre premettere che il giudice penale ben può
sindacare la legittimità del provvedimento di rimpatrio con foglio di via
obbligatorio al fine di verificare la sua conformità alle prescrizioni di
legge, tra le quali rientra l'obbligo di motivazione sugli elementi indicativi
della pericolosità sociale della persona (Sez. 1, n. 248 del 13 dicembre 2007;
Sez. 1, n. 664 del 9 dicembre 1999); Il provvedimento amministrativo deve,
infatti, specificamente enunciare gli elementi di fatto dai quali viene desunta
la pericolosità sociale del soggetto e, quindi, la sua riconducibilità ad una
delle categorie indicate nell'art. 1 della I. n. 1423 del 1956.
2. Nel caso in
esame il provvedimento di rimpatrio con foglio di via obbligatoria è stato
adottato dal Questore sull'erroneo presupposto dell'appartenenza dell'imputata,
in qualità di prostituta esercente il meretricio sulla pubblica via, alla
categoria di soggetti socialmente pericolosi individuati nell'art. 1 n. 3 della
I. n. 1423 del 1956, così come modificato dall'art. 2 1. n. 327 del 1988 e
sostituito dall'art. 1, comma 1, lett. c), d. lgs. n. 159 del 2011. Il
provvedimento amministrativo - costituente il presupposto del reato contestato
- è illegittimo per inosservanza del disposto dell'art. 2 della 1. n. 327 del
1988 che ha eliminato il riferimento a coloro che svolgono abitualmente
attività contrarie alla morale pubblica e al buon costume. Pertanto, agli
effetti dell'inclusione di una persona nella categoria di soggetti socialmente
pericolosi ex art. 1, comma 1, n. 3 1. n. 1423 del 1956 e successive
modifiche, non è sufficiente il mero svolgimento abituale di attività contrarie
alla morale pubblica e al buon costume (tra le quale è tradizionalmente
ricompresa l'attività di prostituzione), bensì occorre che siano acquisiti,
sulla base della condotta tenuta dal soggetto, elementi di fatto dimostrativi
della commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità
fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità
pubblica (Sez. 1, n. 20319 del 10 aprile 2014; Sez. 1, n. 4426 del 5 dicembre
2013, dep. 30 gennaio 2014; Sez. 1, n. 51026 del 5 dicembre 2013). In altri
termini, ai fini dell'emissione del provvedimento di rimpatrio con foglio di
via obbligatorio, è indispensabile che il comportamento concretamente
realizzato dalla persona sia realmente lesivo dei suddetti beni giuridici. Ne
consegue che il mero esercizio dell'attività di prostituzione, non costituendo
di per sé reato (salvo che trascenda in una condotta penalmente rilevante), non
può legittimamente fondare l'appartenenza alla categoria di persone socialmente
pericolose prevista dall'art. 1, comma 1, lett. c) d. lgs. n. 159 del 2011 e,
quindi, non può giustificare l'adozione del provvedimento di rimpatrio con
foglio di via obbligatorio. Né, d'altra parte, possono essere posti a carico
del soggetto che si prostituisce eventuali reati o comportamenti pericolosi,
commessi da terze persone, pur se occasionati dall'attività di meretricio.
Diversamente, verrebbe surrettiziamente ripristinata,
in palese violazione di legge, la previsione dell'art. 1, comma 1. n. 3,1. n.
1423 del 1956, abrogata dall'art. 2 della 1. n. 327 del 1988. In tale contesto
la sentenza impugnata, nel prescindere dalla compiuta ricostruzione delle
diverse leggi succedutesi nel tempo, ha omesso di considerare che il
provvedimento adottato dal Questore, oltre a richiamare un'attività, come
quella di meretricio, non costituente di per sé reato, si fonda su mere
presunzioni concernenti la commissione di reati (come quello di atti osceni in
luogo pubblico), sfornite di qualsiasi dimostrazione obiettiva.
3. Per tutte queste ragioni s'impone l'annullamento
senza rinvio della sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il
fatto non sussiste.
Così deciso, in Roma, il 6 ottobre 2015.
Scritto il 4 novembre 2015