LUCCIOLA GRAZIATA DALLA CASSAZIONE
La Corte di Cassazione con la Sentenza n. 51062/2013 ha respinto il
ricorso delle Procura di Rimini, che dopo aver avuto le prostitute da strada
assolte nel processo penale per l’inosservanza al provvedimento del Foglio di Via Obbligatorio dal Comune
suddetto (ex Legge 1423/1956, assorbita dal D.Lgs.
159/2011), ha interpellato il giudizio del Supremo Organo Giudicante
italiano per ottenere il ribaltamento del citato giudizio. Nella suddetta
pronuncia della Cassazione si evince come la prostituzione esercitata in
strada, non essendo reato come esercizio, non
può essere considerata come elemento sufficiente per essere considerata un
pericolo per la pubblica sicurezza. Difatti sempre secondo l’alto Organo
giudicante, per considerare tale un soggetto che esercita il meretricio sulle
vie, bisogna identificare concreti elementi di sussistenti condotte e
circostanze che avvalorino la relativa pericolosità, senza chiamare in causa
direttamente ed unicamente la corrispondente professione.
Si elenca di seguito
il testo della Sentenza in merito.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 5 – 18
dicembre 2013, n. 51062
Presidente G. – Relatore B.
Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale di Rimini con sentenza emessa il 16
novembre 2012 assolveva perché il fatto non sussiste l'imputata D.V. dal reato
di cui alla L. n. 1423 del 1956, art. 2, contestatole per avere violato la
misura di prevenzione del divieto di rientro nel Comune di Rimini per tre anni,
di cui al provvedimento del Questore di Rimini del 2 dicembre 2008, venendo
identificata nel predetto comune, fatto commesso il (omissis) .
1.1 Il Tribunale fondava la decisione sul rilievo,
secondo il quale il provvedimento amministrativo che aveva imposto
l'allontanamento ed il divieto di rientro all'imputata doveva ritenersi
illegittimo e quindi da disapplicare, in quanto non delineava caratteristiche
soggettive proprie di persona pericolosa per la sicurezza pubblica, ma
semplicemente assumeva l'esercizio da parte della stessa del meretricio sulle
strade cittadine, senza che ciò fosse stato accompagnato dalla constatazione di
condotte pericolose per i minorenni, non rinvenuti nei luoghi di esercizio
della prostituzione, o di offesa alla sanità ed alla sicurezza pubblica.
2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso
per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Rimini,
deducendone l'illegittimità per violazione di legge vizio di motivazione,
avendo il giudice di merito disapplicato il provvedimento del Questore sebbene
in tale atto fosse stato riportato che l'imputata era stata colta in
inequivocabile contesto di abituale prostituzione in strada, dal che il fondato
convincimento che ella potesse compiere atti osceni in luogo pubblico
coinvolgenti anche minorenni e mettere in pericolo la pubblica tranquillità
tanto da suscitare proteste nei residenti delle zone frequentate; non era stato
considerato poi il concreto pericolo della commissione di altri gravi delitti
connessi al controllo ed allo sfruttamento della prostituzione in luogo
pubblico, che di frequente esitano atti lesivi in danno delle prostitute e
scontri violenti ed armati tra i loro sfruttatori.
Inoltre, l'interpretazione offerta dal Tribunale non
teneva conto del fatto che la norma dell'art. 2 L. 1423/56 non richiede per la
sua applicazione che i destinatari del foglio di via abbiano commesso reati e
siano per tale ragione stati condannati, ma soltanto l'acquisizione di elementi
di fatto indicativi della loro dedizione ad attività criminosa.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto.
1. Va premesso in punto di diritto che, come già
affermato da questa Corte, la conformità a legge del provvedimento di rimpatrio
con foglio di via obbligatorio deve essere accertata dal giudice penale per rintracciarvi
i possibili vizi dell'atto amministrativo, costituiti dall'incompetenza, dalla
violazione di legge e dall'eccesso di potere. In particolare, per quanto
riguarda quest'ultima ipotesi, essa è suscettibile di cognizione da parte del
giudice ordinario, non solo nella classica configurazione dello sviamento di
potere, ma anche nelle varie figure sintomatiche elaborate dalla giurisprudenza
amministrativa (Cass., sez. 1, n. 916 del 11/02/1997, P.M. in proc. A., rv. 207345; sez. 1, n. 23034 del 20/04/2001, M., rv. 219289; sez. 1, n. 248 del 13/12/2007, L., rv. 238767).
1.1 Si è affermato al riguardo che "In tema di
contravvenzione al provvedimento del Questore previsto dall'art. 2 della legge
n.1423 del 1956, il giudice non può sostituire la propria valutazione al
giudizio di pericolosità espresso dal Questore, in quanto in tal modo
eserciterebbe un inammissibile sindacato giurisdizionale di merito sull'atto
amministrativo mentre, invece, gli è consentito soltanto il sindacato di
legittimità sul provvedimento consistente nella verifica della sua conformità
alle prescrizioni di legge, tra le quali rientra l'obbligo di motivazione sugli
elementi da cui viene desunto il giudizio di pericolosità del soggetto"
(Cass. sez. 1, n. 664 del 09/12/1999, C., rv. 215243;
sez. 1, n. 248 del 13/12/2007, L., rv. 238767). Ciò
significa che il provvedimento deve esplicitare gli elementi di fatto, in base
ai quali esprime il giudizio di appartenenza del destinatario ad una delle
categorie indicate nell'art. 1 della L. n. 1423 del 1956 ed indicare i motivi
che inducono a ritenerlo socialmente pericoloso, non essendovi coincidenza tra
la appartenenza a una delle categorie di cui al citato art. 1 e la pericolosità
sociale del soggetto, che va desunta da ulteriori circostanze di fatto, delle
quali si deve dare atto. Pertanto, nel caso in cui il provvedimento del
Questore sia sufficientemente motivato, indichi in modo chiaro ed intelligibile
le ragioni dell'affermata pericolosità del sottoposto a foglio di via
obbligatorio, esso può essere disapplicato solo a fronte dell'accertata
insussistenza degli elementi addotti a sostegno della ritenuta pericolosità.
2. Ebbene, l'applicazione dei principi sopra enunciati
al caso in esame prova che la sentenza impugnata vi si è attenuta, avendo motivatamente
escluso i presupposti di fatto per ravvisare la pericolosità dell'imputata.
2.1 Invero, per quanto deducibile dalle stesse
indicazioni riportate nella sua motivazione, il provvedimento emesso dal
Questore aveva dedotto la probabilità di commissione di reati da parte della
prevenuta per la sua abituale dedizione all'attività di prostituzione sulle
strade cittadine di Rimini con adescamento in tali luoghi dei clienti, fra i
quali anche possibilmente soggetti minori, il che fondava il ragionevole
convincimento del compimento di atti osceni in luogo pubblico e l'affermato
pericolo per la tranquillità e la sicurezza pubbliche, sia per il disagio che
l'esercizio della prostituzione in strada ingenera nei residenti nella zona,
sia per il possibile innesco di altri fenomeni criminosi legati al controllo ed
allo sfruttamento del meretricio.
2.2 Al contrario, il
provvedimento non indica che, come rilevato dal Tribunale, sia in concreto
stata accertata la presenza di minori nei luoghi di esercizio della prostituzione,
né l'effettivo compimento di atti osceni in luogo pubblico e nemmeno la
presentazione di esposti o di richieste di intervento da parte della
popolazione residente, sicché l'ordine impartito risulta essere fondato
essenzialmente sul mero esercizio della prostituzione, in sé insufficiente per
ritenere la D. persona pericolosa.
2.3 In tal
modo, non risulta travisato il provvedimento amministrativo presupposto del
reato contestato, né sono state sovrapposte valutazioni individuali del
giudicante sull'innocuità in sé della prostituzione, ma si è ribadito il
principio secondo il quale la dedizione a prostituzione costituisce fatto che
in sé, in quanto frutto di scelta individuale e privata di vita e di
frequentazioni, non è suscettibile di rappresentare un pericolo per la
sicurezza e la tranquillità collettive, quanto le modalità per tempi e luoghi
del suo esercizio, che nel caso specifico però non risultano oggettivamente
motivo di allarme per la salute e la moralità di minori e per gli altri valori
protetti dalla norma. Per contro, le
deduzioni sviluppate dal ricorrente si basano su circostanze notorie, ma in
realtà astrattamente affermate, legate a fenomeni di adescamento e di
sfruttamento del meretricio, portatori di "risvolti criminogeni",
diffusi, ma rimasti privi di sicura dimostrazione nel caso in esame. L'assenza
di un certo riscontro fattuale induce a disattendere le argomentazioni
contenute in ricorso, dal momento che la valutazione prognostica di futura
commissione di condotte illecite è stata esclusa dal giudice di merito sulla
scorta di una corretta applicazione del parametro normativo di riferimento e di
una motivazione completa, logica, immune da vizi di sorta.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Scritto il 27 dicembre 2013