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NUOVAMENTE UN’ALTRA LUCCIOLA GRAZIATA DALLA CASSAZIONE

 

 

Con la Sentenza n. 8811/2018 la Corte di Cassazione Penale ha nuovamente riconfermato la non sussistenza del Foglio di Via Obbligatorio per le lucciole da strada, se esse stesse si limitano ad essere unicamente tali, senza avere il sospetto concreto di compiere dei reati dannosi per la pubblica sicurezza e non certo desunti o potenzialmente attuabili, a prescindere dalla pubblica moralità. Il tutto ai sensi del D.Lgs. 159/2011, che ha sostituito la vecchia Legge 1423/1956.

Si mostra di seguito il testo relativo.

 

 

 

 

Penale Sent. Sez. 1 Num. 8811 Anno 2018

 

Presidente: R. G.

Relatore: B. L.

Data Udienza: 02/02/2018

 

 

SENTENZA

sul ricorso proposto da: L. R. nata il (omissis) avverso la sentenza del 26/01/2017 del TRIBUNALE di MACERATA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere L. B.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale P. G., che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

Udito il difensore dell'imputato, avv. A. C., che si è riportato ai motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 26.1.2017 il Tribunale di Macerata dichiarava L. R. colpevole del reato di cui all'art. 76, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011, perché «pur sottoposta alla misura di prevenzione del divieto di ritorno nel comune di Civitanova Marche per anni tre (come da provvedimento n. 23276/2014 D.A.C. emesso dal Questore di Macerata il 12.6.2014, notificato all'interessata in pari data) veniva sorpresa 1'11.7.2014 nel territorio del predetto comune». A fondamento della decisione resa il tribunale, respingendo la tesi difensiva, riteneva insindacabile e pertanto non disapplicabile il provvedimento amministrativo del Questore in quanto questo non si limitava a parificare l'esercizio dell'attività di prostituzione ad una condotta in sé pericolosa per la pubblica sicurezza o tranquillità, ma evidenziava che l'abituale dedizione dell'imputata al meretricio aveva provocato «intralcio alla circolazione e molestia alla popolazione residente [...] determinando il concreto pericolo di commissione di atti osceni in luogo pubblico, con potenziale coinvolgimento anche di soggetti di minore età».

2. Avverso tale decisione ha interposto ricorso per cassazione l'imputata, tramite il proprio difensore di fiducia, chiedendo l'annullamento della sentenza per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione; inosservanza o errata applicazione degli artt. 1 e 2 d.lgs.  n. 159 del 2011 in relazione agli artt. 4 e 5 I. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E. Richiama, al riguardo il consolidato insegnamento di questa Suprema Corte, secondo cui «in tema di contravvenzione al foglio di via obbligatorio, il giudice non può sostituire la propria valutazione al giudizio di pericolosità espresso dal Questore, in quanto, in tal modo, eserciterebbe un inammissibile sindacato giurisdizionale di merito sull'atto amministrativo mentre gli è consentito soltanto un sindacato di legittimità, consistente nella verifica della conformità del provvedimento alle prescrizioni di legge, tra le quali rientra l'obbligo di motivazione sugli elementi da cui viene desunto il giudizio di pericolosità». (Sez. 1, n. 248 del 13.12.2007, L., Rv. 238767 v. anche Sez. 1, n. 44221 del 17/09/2014, C., Rv. 260897 in una fattispecie, non dissimile all'odierna, in cui la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza di condanna che aveva integrato il provvedimento emesso dal Questore sul solo presupposto dell'esercizio della prostituzione da parte dell'imputata, giustificandone la legittimità in ragione del ritenuto pericolo, non indicato nell'atto amministrativo, della commissione di condotte delittuose di atti osceni in luogo pubblico).

Ad avviso della difesa, nel caso di specie il provvedimento del Questore di Macerata doveva ritenersi illegittimo, in quanto includeva l'imputata nella categoria delle persone pericolose ai sensi dell'art. 1, n. 3, d.lgs. n. 159/2011 soltanto in ragione del fatto che la predetta «esercitava la prostituzione in abiti succinti, adescando i passanti e determinando pericolo per la circolazione stradale», senza, tuttavia, considerare che, a seguito delle modifiche apportate all'art. 1 I. n. 1423 del 1956 dall'art. 2 della I. n. 327 del 1988, sono esclusi tra i soggetti destinatari della misura di prevenzione «coloro che svolgono abitualmente attività contrarie alla morale pubblica e al buon costume», per cui è necessario che il giudizio di pericolosità sia ancorato a condotte aventi rilevanza penale.

Richiamando, ancora una volta, la copiosa giurisprudenza di legittimità in casi analoghi, deduce che ai fini della inclusione di una persona dedita alla prostituzione nella categoria di soggetti socialmente pericolosi ex art. 1 della I. n. 1423 del 1956 occorre che siano acquisiti elementi di fatto dimostrativi della commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

2. Questa Corte ha ripetutamente affermato che in tema di reato di violazione del foglio di via obbligatorio, è legittima da parte del giudice penale la disapplicazione del provvedimento amministrativo motivato soltanto sulla base dell'esercizio della prostituzione da parte dell'imputato, e della astratta probabilità della commissione dei delitti di atti osceni e di atti sessuali in danno di minorenni, poiché l'ordine, alla cui violazione consegue l'illecito penale, deve essere fondato su indizi - e non su illazioni, congetture o meri sospetti - da cui desumere che il soggetto destinatario rientri in una delle categorie previste dall'art. 1 della legge n. 1423 del 1956 - oggi art. 1 del d.lgs. n. 159 del 2011 - (per tutte, tra le più recenti, Sez. 1, n. 41738 del 16/09/2014, R., Rv. 260515).

3. L'insegnamento è pienamente condiviso dal Collegio che intende darvi continuità. L'art. 2, d.lgs. n. 159 del 2011 pone come presupposto dell'ordine di allontanamento non un qualsivoglia comportamento «pericoloso per la sicurezza pubblica» (nozione che aprirebbe il varco a forme incontrollabili di discrezionalità) ma una condotta pericolosa che sia espressione delle riconosciute categorie criminologiche di cui al precedente articolo 1 (n. 1: soggetti abitualmente dediti, sulla base di elementi di fatto, a traffici delittuosi; n. 2: soggetti che per condotta e tenore di vita debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, produttori di proventi derivanti da attività delittuose con cui si sostengono, almeno in parte; n. 3: soggetti dediti, sulla base di elementi di fatto, alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, sicurezza o tranquillità pubblica). È del tutto pacifico che l'esercizio della prostituzione in sé non rientra tra le categorie delle persone pericolose ai sensi della vigente normativa (già in base alla L. n. 327 del 1988 che ebbe ad eliminare il riferimento a coloro che svolgono abitualmente attività contrarie alla morale pubblica ed al buon costume) né può ritenersi condotta di reato quella consistente in fatti di «adescamento», stante la depenalizzazione operata con art. 81 della legge n. 689 del 1981 della fattispecie originariamente prevista dall'art. 5 co.1 legge n.75 del 1958. Sotto altro profilo, il provvedimento amministrativo non può essere motivato con l'indicazione generica della categoria di pericolosità ritenuta presente nel caso specifico, ma deve indicare gli elementi concreti in fatto, riferibili al soggetto interessato, sui quali fonda l'inquadramento di quest'ultimo in una delle predette categorie.

Tanto premesso, l'esercizio della prostituzione - in sé attività non costituente reato – non può, ex se, fondare l'emissione di un provvedimento di allontanamento, esulando essa dalle sopraindicate ipotesi di cui all'art. 1, nn. 1 e 2, della legge in parola (traffici delittuosi; vivere con provento di attività delittuose) così come da quella n. 3. È del tutto evidente, in relazione a quest'ultima, che l'offesa o la messa in pericolo dei beni indicati in detta norma (l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, sicurezza o tranquillità pubblica), per essere rilevante ai fini in parola, devono discendere da veri e propri reati ascrivibili al soggetto e non da condotta in sé non costituente reato (o dal mero pericolo della sua consumazione). Ritenere diversamente finirebbe, invero, in modo del tutto inammissibile, per ripristinare surrettiziamente, a questi fini, la categoria già soppressa dalla L. n. 327 del 1988. Dal chiarissimo testo di legge è poi rilevabile, in modo del tutto piano, che eventuali reati o comportamenti pericolosi commessi da terze persone, sia pur occasionati dall'offerta di meretricio, non possono ricadere sul soggetto che si prostituisce, a meno che l'offerta stessa non si concretizzi in condotte di reato. Ciò posto, meramente ipotetica risulta essere - nel caso in esame - la commissione di reati correlati all'attività esercitata e posti in essere dall'imputata (coinvolgimento di minori o realizzazione di atti osceni in luogo pubblico).

Sul punto, la motivazione della decisione impugnata risulta del tutto carente e inadeguata proprio perché affronta il tema muovendosi sul terreno della probabilità e dunque valorizzando indicatori generici e non soggettivizzati, posto che dagli atti non era dato scorgere alcuna condotta diversa dalla ordinaria attività di offerta delle prestazioni sessuali.

Le censure espresse nel ricorso risultano, dunque, fondate, posto che l'illegittima emissione del provvedimento amministrativo – disapplicabile per violazione di legge e vizio di motivazione- rende insussistente la fattispecie di reato oggetto di contestazione.

4. Alla stregua delle considerazioni svolte la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto di reato non sussiste.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

Così deciso il 2 febbraio 2018.

 

 

 

 

Scritto il 14 marzo 2018

 

 

 

 

 

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