ORDINANZA SINDACALE CASSATA DAL TAR DI ROMA
Con la Sentenza n. 4175/2019 il TAR del Lazio,
sezione territoriale di Roma, ha annullato l’Ordinanza Sindacale n. 624/2018 del Comune di Tivoli (RM).
Nelle relative
motivazioni sono state avvalorate delle tesi, secondo le quali il suddetto
Decreto è carente di determinatezza, motivazione e mostra lacunosità nella
connessa istruttoria.
Difatti nel testo
del documento in esame, si può notare che i comportamenti vietati non sono ben
descritti ed inquadrati nella tutela di gravi e non semplici, pericoli che
minacciano la sicurezza urbana, come il semplice abbigliamento ed atteggiamento
di chi presumibilmente si prostituisce, che possono essere riportati anche a
situazioni ed intenzioni estranee al sesso a pagamento. Inoltre, si può
denotare la mancanza di una giustificazione per adottare in via eccezionale e
temporanea un provvedimento in contrasto a problematiche, le quali appaiono in
questo caso ordinarie e permanenti e la sola e semplice data di scadenza,
iscritta nel relativo testo, non può essere giustificativa per un atto
obbligatoriamente contingibile ed urgente, il quale
risulta oltretutto valido su tutto il territorio del rispettivo Comune.
Viene oltretutto
citato, ai sensi della Sentenza della Corte Costituzionale n.
115/2011, che i provvedimenti sindacali in questione devono
rispettare lo Stato di diritto, quando questi pongono dei divieti, anche se i
connessi poteri vanno a tutelare beni e valori, ovverosia, le citate
interdizioni devono avere dei limiti d’applicazione od addirittura non poter
essere applicate per nulla, se queste violano i diritti fondamentali dei
cittadini.
Si menziona di
seguito il testo della suddetta Ordinanza Sindacale.
Pubblicato il 28/03/2019
N. 04175/2019 REG.PROV.COLL.
N. 15466/2018 REG.RIC.
IN NOME
DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo
Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex
art. 60 c.p.a. ,
sul
ricorso numero di registro generale 15466 del 2018, proposto dall’Associazione
Radicale Certi Diritti e dal Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute –
Onlus organizzazione non lucrativa di utilità sociale, in persona dei
rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi
dagli avvocati D. C., C. F., G. C., con domicilio eletto presso lo studio dei
primi in (omissis) e domicilio
digitale come da p.e.c. da Registri di Giustizia;
contro
il
Comune di Tivoli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e
difeso dagli avvocati E. I., M. R., D. S., con domicilio eletto presso lo
studio dell’avvocato F. F. in (omissis)
e domicilio digitale come da p.e.c. da Registri di
Giustizia;
per l'annullamento
-
dell'ordinanza contingibile e urgente n. 624 del 06.11.2018, con la quale il
Sindaco del Comune di Tivoli ha ordinato che, a decorrere dal 15/11/2018 e fino
al 15/06/2019, su tutto il territorio comunale, sia fatto divieto (i) "a
chiunque, sulla pubblica via e su tutte le aree soggette a pubblico passaggio
del territorio del Comune di Tivoli di contattare soggetti dediti alla prostituzione,
concordare prestazioni sessuali a pagamento, consentire la salita sui propri
veicoli per le descritte finalità, eseguire manovre pericolose o di intralcio
alla circolazione stradale, ivi compresa la sosta e/o fermata al fine di porre
in essere i comportamenti delineati" e (ii) "a chiunque di porre in
essere comportamenti diretti in modo non equivoco a offrire prestazioni
sessuali a pagamento, assumendo atteggiamenti, modalità comportamentali ovvero
indossare abbigliamenti o mostrare nudità che manifestino, inequivocabilmente,
l'intenzione di adescare o di esercitare l'attività di meretricio" e con
la quale è stato stabilito per la violazione della predetta ordinanza l'importo
del pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria pari ad euro 500,00;
- di ogni atto presupposto, connesso
ovvero consequenziale.
Visti il ricorso e i relativi
allegati;
Visto l'atto di costituzione in
giudizio del Comune di Tivoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio
del giorno 13 febbraio 2019 la dott.ssa B. B. e uditi per le parti i difensori
come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi
dell'art. 60 c.p.a.;
Ritenuto in fatto ed in diritto
quanto esposto dalle parti nel ricorso introduttivo e negli scritti difensivi;
Premesso che:
- con
il ricorso introduttivo del presente giudizio l’Associazione Radicale “Certi
Diritti” ed il Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute – Onlus organizzazione
non lucrativa di utilità sociale, premesse esplicitazioni, con unite
allegazioni a supporto, in merito alla propria legittimazione ed all’interesse
ad agire, hanno adito questo Tribunale per l’annullamento del provvedimento in
epigrafe indicato, adottato dal Sindaco del Comune di Tivoli ai sensi
dell’articolo 54 del D.lgs. 18 agosto 2000 n. 267 (di seguito TUEL), con il
quale, in ragione dell’asserita sussistenza di esigenze di incolumità pubblica
e sicurezza urbana, sono stati disposti specifici divieti, dettagliatamente
indicati, a valere su tutto il territorio comunale per il periodo 15 novembre
2018 - 15 giugno 2019, con espressa comminatoria, per la violazione dei divieti
medesimi, della sanzione pecuniaria pari ad euro 500,00 (cinquecento/00);
- la
difesa di parte ricorrente ha dedotto vizi di violazione di legge ed eccesso di
potere, contestando la sussistenza dei presupposti alla base dell’adozione
dell’ordinanza impugnata, nonché censurando l’indeterminatezza delle condotte
vietate e sanzionate, la carenza e lacunosità dell’istruttoria, l’assenza di un
adeguato substrato motivazionale, la violazione dei principi di ragionevolezza
e proporzionalità, la lesione dei diritti e delle libertà fondamentali in
violazione dell’art. 2 Cost., la violazione dei principi di legalità e tipicità
degli illeciti amministrativi, con prospettazione anche di profili di
illegittimità costituzionale dell’art. 54 comma 4 bis TUEL, ove interpretato
nel senso di legittimare il Sindaco all’esercizio del potere extra ordinem, anche per finalità di perseguire la prostituzione
in quanto tale, senza, tra l’altro, considerazione alcuna delle condizioni di
sfruttamento, ordinariamente sussistenti, degli individui che esercitano tale
attività;
- il
Comune di Tivoli si è costituito in giudizio per resistere al gravame,
sollevando eccezioni preliminari di inammissibilità sia per carenza delle
fondamentali condizioni dell’azione sia in relazione alla proposizione del
ricorso in forma collettiva, concludendo, nel merito, per il rigetto del
ricorso in quanto infondato;
-
alla camera di consiglio del 13 febbraio 2019, fissata per la conclusione della
fase cautelare, il Collegio ha valutato sussistenti i presupposti per la
definizione della presente controversia con sentenza in forma semplificata,
provvedendo agli avvisi ed adempimenti prescritti in conformità alle previsioni
dell’art. 60 c.p.a.;
Ritenuto che:
- l’eccezione di inammissibilità per
carenza delle condizioni dell’azione non merita accoglimento;
- per
univoca giurisprudenza (il che esime da citazioni specifiche) spetta al Giudice
verificare, caso per caso, la ricorrenza di un interesse, idoneo a radicare
legittimazione processuale, in capo ai soggetti portatori di interessi diffusi
costituiti in associazioni e comitati, i quali devono comunque risultare
sufficientemente differenziati e qualificati, rispetto agli interessi dei
singoli associati ovvero alla generalità dei consociati di un determinato
territorio, perché ad essi, appunto, possa riconoscersi il potere di agire
legittimamente in giudizio;
-
dall’analisi della documentazione versata in atti dalla parte ricorrente e,
segnatamente, dai rispettivi statuti, emerge che sia l’associazione che il
comitato perseguono specifiche finalità di promozione dei diritti e tutela
delle persone e, in specie delle donne, coinvolte nel fenomeno della
prostituzione, nonché di salvaguardia della sfera di autodeterminazione
sessuale, attraverso iniziative, di sovente congiunte ed estese a tutto il
territorio nazionale, che includono anche “l’assistenza legale e la
presentazione in giudizio”;
- i
sopra indicati elementi associati alle ulteriori evidenze in atti consentono di
rilevare la sussistenza di un interesse diffuso, connotato da autonomo rilievo,
di cui viene dedotta e allegata la lesione attraverso l’adozione dell’ordinanza
impugnata, la cui protezione rientra tra le finalità statutarie delle
ricorrenti, connotate da stabilità sul piano organizzativo e operativo ed
operanti su tutto il territorio nazionale;
- il
contenuto prescrittivo e sanzionatorio dell’ordinanza, riguardato ai fini della
verifica in ordine alla sussistenza delle condizioni dell’azione, evidenzia, in
particolare, una diretta afferenza con le finalità di protezione e tutela
perseguite dall’associazione e dal comitato, come reso evidente, tra l’altro,
dalla formulazione – ampia e, per le ragioni di seguito esposte, del tutto
generica – della prescrizione che pone il divieto, per chiunque e su tutto il
territorio comunale, di assumere “atteggiamenti” ovvero “modalità comportamentali”
suscettibili non già di denotare l’esercizio bensì di manifestare
“l’intenzione” di esercitare il sex work (espressamente: “comportamenti diretti
in modo non equivoco a offrire prestazioni sessuali a pagamento, assumendo
atteggiamenti, modalità comportamentali ovvero indossare abbigliamenti o
mostrare nudità che manifestino, inequivocabilmente, l'intenzione di adescare o
di esercitare l'attività di meretricio”), con comminatoria, in caso di
inosservanza, della sanzione pecuniaria di euro 500,00 (cinquecento/00), con
carattere di generalità e, dunque, astrattamente, anche nei confronti delle
vittime dei fenomeni di tratta e di sfruttamento;
- del
pari infondata si palesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso collettivo
sollevata dalla difesa dell’amministrazione comunale;
- per
consolidata giurisprudenza, ai fini della ammissibilità del ricorso collettivo,
occorre che vi sia una identità di posizioni sostanziali e processuali dei
ricorrenti e che non vi sia una situazione di conflittualità di interessi,
anche solo potenziale, per effetto della quale l’accoglimento della domanda di
alcuni ricorrenti sarebbe incompatibile con l’accoglimento delle istanze degli
altri (Cons. Stato, Sez. IV, 5 ottobre 2018, n. 5719; 6 giugno 2017, n. 2700);
- nel
processo amministrativo, dunque, la proposizione del ricorso collettivo è
soggetta al rispetto di stringenti requisiti, sia di segno negativo che di
segno positivo: i primi sono rappresentati dall'assenza di una situazione di
conflittualità di interessi, anche solo potenziale, per effetto della quale
l'accoglimento della domanda di una parte dei ricorrenti sarebbe logicamente
incompatibile con quella degli altri; i secondi consistono, invece,
nell'identità delle posizioni sostanziali e processuali dei ricorrenti, essendo
necessario che le domande giurisdizionali siano identiche nell'oggetto, che gli
atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e che vengano censurati per gli
stessi motivi (ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 27
gennaio 2015, n. 363; 29 dicembre 2011, n. 6990);
- nel
caso che ne occupa deve rilevarsi la sussistenza dei sopra indicati
presupposti, emergendo una piena convergenza degli interessi perseguiti
dall’associazione e dal comitato ricorrenti attraverso la pretesa azionata nel
presente giudizio, risultando, peraltro, generiche le deduzioni articolate sul
punto dalla difesa dell’amministrazione comunale;
- il
ricorso è, nel merito, manifestamente fondato;
- prioritarie ed assorbenti si palesano le
deduzioni dirette a contestare l’assenza dei presupposti alla base
dell’adozione del provvedimento impugnato, la lacunosità dell’istruttoria e la
carenza di motivazione;
- le condotte vietate e sanzionate vengono
descritte nel provvedimento impugnato con un insufficiente grado di
determinatezza, come reso evidente dal rilievo riconnesso anche ad
“atteggiamenti”, a “modalità comportamentali” ed all’abbigliamento e, dunque, a
condotte ed a profili che ineriscono alla sfera delle stesse modalità di
espressione della personalità e che possono risultare in concreto non lesive di
interessi riconducibili alla sicurezza urbana in quanto non dirette in modo non
equivoco all’esercizio dell’attività riguardante le prestazioni sessuali a
pagamento;
- a fronte di tale ampia e generica
descrizione delle condotte sanzionate l’indiscriminata estensione dei divieti
su tutto il territorio comunale non trova supporto nell’accertamento di
situazioni specifiche riferibili all’esigenza di tutela della sicurezza urbana,
dovendosi evidenziare che l’ordinamento vigente non consente la repressione di
per sé dell’esercizio dell’attività riguardante le prestazioni sessuali a
pagamento e ciò a prescindere dalla rilevanza che tale attività possa assumere
sotto altri profili, autonomamente sanzionabili, per le modalità con cui è svolta
o per la concreta lesione di interessi riconducibili alla sicurezza urbana;
- in particolare, la sussistenza di “gravi pericoli
che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana” è solo formalmente
evocata, non essendo sufficienti a sorreggere la determinazione adottata
affermazioni di principio in ordine alla circostanza che il fenomeno della
prostituzione su strada “sta assumendo caratteri di notevole diffusione sul
territorio comunale” ovvero giudizi di
valore di carattere etico e morale in assenza evidenze istruttorie fondate su
elementi concreti ed attendibili atti a denotare la sussistenza del presupposto
della concreta minaccia agli interessi pubblici tutelati dell’art. 54, commi 4
e 4 bis del TUEL e della eccezionalità e gravità del pericolo;
- le ordinanze contingibili e urgenti di
competenza del Sindaco quale ufficiale del Governo costituiscono strumenti apprestati
dall'ordinamento per fronteggiare situazioni impreviste e di carattere
eccezionale, per le quali sia impossibile o inefficace l'impiego dei rimedi
ordinari, e si presentano quindi quali mezzi di carattere residuale,
espressione di norme di chiusura del sistema, i cui tratti distintivi sono
costituiti dall'atipicità, dalla valenza derogatoria rispetto agli strumenti
ordinari, dalla particolare qualificazione sia della minaccia sia del pericolo;
- la
documentazione prodotta in giudizio dalla difesa dell’amministrazione denota,
invero, l’esiguità della istruttoria svolta, essenzialmente incentrata su
segnalazioni anonime e sulla riscontrata presenza di persone dedite alla
prostituzione nello svincolo di Tivoli del Casello dell’autostrada A24 e il Mausoleo
dei Plauzi, senza evidenza alcuna circa la obiettiva
e concreta sussistenza di situazioni di pericolo per l’incolumità pubblica o
per la sicurezza, come comprovato anche dai verbali di contestazione della
violazione dell’ordinanza impugnata;
- nello specifico, una parte consistente dei
verbali di contestazione inerisce a condotte sostanziatesi nell’indossare
abbigliamenti succinti atti ad adescare clientela, senza esplicitazione del
nesso di interrelazione tra il “mezzo” e il “fine” e, cioè, delle modalità
attraverso le quali si è ritenuto di inferire dall’abbigliamento, qualificato
in assenza di specificazioni descrittive, l’“intenzione” dell’adescamento di
clientela;
- in ogni caso non è dato comprendere né
altrimenti emerge dalla documentazione in atti la sussistenza del presupposto
della concreta minaccia agli interessi pubblici tutelati dalla disposizione del
TUEL sopra richiamata, non integrati dal mero riferimento al “buon costume” ed
alla “pubblica decenza”, pure espressamente indicati nell’ordinanza impugnata;
- il
Collegio, inoltre, pur rilevando la palese tardività delle produzioni
documentali dell’ente resistente del 14 febbraio 2019, ritiene di evidenziare,
a maggiore chiarimento, nonché al fine di una esaustiva disamina della vicenda
contenziosa anche nella prospettiva di orientare l’operato
dell’amministrazione, che alcun rilievo può essere riconnesso alla notizia
stampa estrapolata da internet, sia per la provenienza della fonte, sia tenuto
conto della circostanza che la notizia riportata è successiva all’adozione
dell’ordinanza impugnata, sia alla luce del relativo contenuto che individua
nella città di Catania quella di destinazione dell’attività illecita oggetto
dell’indagine penale, mancando una specifica interrelazione con le finalità enunciate
nel provvedimento gravato. Ciò senza considerare che i fenomeni criminali
correlati allo sfruttamento della prostituzione ineriscono a profili di
carattere strutturale da contrastare attraverso gli strumenti ordinari all’uopo
previsti dall’ordinamento;
- come chiarito, infatti, anche dalla Corte
Costituzionale (cfr. sentenza n. 115 del 2011) “deroghe alla normativa
primaria, da parte delle autorità amministrative munite di potere di ordinanza,
sono consentite solo se «temporalmente delimitate» (ex plurimis,
sentenze n. 127 del 1995, n. 418 del 1992, n. 32 del 1991, n. 617 del 1987, n.
8 del 1956) e, comunque, nei limiti
della «concreta situazione di fatto che si tratta di fronteggiare»
(sentenza n. 4 del 1977)”;
- nella fattispecie, anche ove si ritenesse
di escludere una preordinazione della delimitazione dell’efficacia della misura
al fine di assicurare il rispetto solo formale del sopra indicato carattere
della temporaneità, non è dato rinvenire alcun giustificativo in ordine
all’estensione del periodo indicato nel provvedimento (15 novembre 2018 - 15
giugno 2019) e ciò pure nella prospettiva, evidenziata dal difensore della
resistente amministrazione nell’udienza camerale, di una asserita
sperimentazione dell’efficacia della misura medesima, restando, comunque,
indimostrate le concrete e gravi esigenze riferite all’incolumità pubblica ed
alla sicurezza urbana;
- la stessa giurisprudenza costituzionale ha rimarcato
“l’imprescindibile necessità che in ogni conferimento di poteri amministrativi
venga osservato il principio di legalità sostanziale, posto a base dello Stato
di diritto” (cfr. C. Cost. n. 115 del 2011, cit.), non essendo sufficiente che
il potere sia finalizzato dalla legge alla tutela di un bene o di un valore e
ciò, in specie, ove divieti ed obblighi imposti impongano, in maggiore o minore
misura, restrizioni alla sfera dei diritti e delle libertà individuali;
- del pari fondate si palesano le deduzioni
dirette a contestare la violazione del principio di proporzionalità, stante la
già evidenziata ampiezza ed indeterminatezza delle condotte vietate,
l’indiscriminata estensione dei divieti a tutto il territorio comunale, la
diretta incidenza su diritti e libertà individuali, con previsione della
irrogazione di una sanzione pecuniaria in misura fissa e generalizzata che,
come correttamente rilevato da parte ricorrente e comprovato anche dai verbali
di contestazione prodotti dall’amministrazione, è suscettibile di dispiegare la
propria portata afflittiva essenzialmente sulle vittime della catena criminale;
- in
conclusione, per le ragioni sopra esposte, il ricorso merita accoglimento, con
assorbimento delle residue deduzioni, e per l’effetto l’ordinanza impugnata va
annullata;
- le
spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura di cui al
dispositivo.
P.Q.M.
Il
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis),
definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, lo accoglie e
per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.
Condanna
il Comune di Tivoli al pagamento delle spese di lite in favore di parte
ricorrente, liquidate complessivamente in euro 1.500,00 (millecinquecento/00),
oltre accessori di legge.
Ordina
che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così
deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 febbraio 2019 con
l'intervento dei magistrati:
E. S., Presidente
B. B., Consigliere, Estensore
O. F., Consigliere
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L'ESTENSORE |
IL PRESIDENTE |
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B. B. |
E. S. |
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IL SEGRETARIO
Scritto il 2 aprile 2019