REGOLAMENTI DI POLIZIA
MUNICIPALE/LOCALE
Dopo la Sentenza n. 115/2011 della
Corte Costituzionale, che ha dichiarato illecito la promozione
d’Ordinanze Sindacali sulla
Sicurezza Urbana in maniera vasta, indeterminata e senza data
congrua di scadenza, alcuni Comuni hanno tradotto i relativi divieti nei Regolamenti di Polizia Locale/Municipale.
Queste sono norme amministrative che disciplinano i compiti dei vari corpi dei
così detti “Vigili Urbani”. Tali
disposizioni regolamentari, che sono approvate dal corrispondente Consiglio Comunale, possono essere a
tempo indeterminato, ma devono rispettare i principi generali dell’Ordinamento
e di conseguenza non possono sostituirsi per intero alle norme nazionali e
devono garantire i diritti riconosciuti dalla Costituzione Italiana.
Inoltre per questo caso
di trascrizione, si possono considerare violati anche i principi dettati
dall’articolo 117, comma secondo,
lettera h) della detta Carta Costituzionale, in considerazione del fatto
che la disciplina della normativa regolamentare in merito, quale Regolamento di
Polizia Urbana, copiata dalle materie del Decreto Ministeriale 5 agosto
2008, che possono essere prese in considerazione dal Sindaco in
qualità di “Ufficiale del Governo” e non nella sua forma d’amministratore del
rispettivo Comune, detta condizioni d’“Ordine
pubblico e di Sicurezza pubblica”, le quali, ai sensi della branchia
costituzionale succitata, sono d’esclusiva competenza dello Stato e non degli
Enti Locali. Tale fattispecie è stata chiaramente avvalorata dalle Sentenze della Corte Costituzionale n. 237/2006, 196/2009 e 226/2010 e dalla Pronuncia
del TAR del Piemonte n. 513/2011, la quale, nell’esaminare la materia di
competenza statale d’Ordine e sicurezza pubblica al solo carico dello Stato
centrale, ha ripreso la prima pronuncia dell’Organo costituzionale suddetto.
In più, si deve
prendere in considerazione in merito anche l’articolo 117 secondo comma lettera s) della Carta Costituzionale,
con il quale la Nazione ha esclusiva legislazione sulla tutela dell’ambiente e
dell’ecosistema, per relativi atti di sporcizia od altro, rilasciati in luoghi
pubblici. Ai sensi dell’articolo 116
della stessa Costituzione, tale potere, può essere derogato alle Regioni ed
altri Enti locali con legge nazionale. Seguendo i dettami dell’articolo 3-quinquies comma 2 del D.Lgs. 152/2006 Testo Unico dell’Ambiente, le affermate
politiche a livello decentrato possono avere relative maggiori restrizioni,
però quest’ultime devono essere richieste da situazioni particolari in merito e
non devono comportare un’arbitraria discriminazione, anche attraverso
ingiustificati aggravi procedimentali.
Si afferma anche che
eventuali atti contrari alla pubblica decenza a danno dell’ambiente, devono
rientrare nell’esclusiva legislazione nazionale, siccome tali si inquadrano in
via principale nella materia dell’Ordine pubblico e di conseguenza un’eventuale
disciplina normativa da parte degli Enti locali scavalcherebbe indebitamente
l’orientamento costituzionale suddetto, in ulteriore violazione del principio
di sussidiarietà tra lo Stato e le Istituzioni decentrate citate, considerando
il fatto che gli stessi articoli 116 e
117 della Costituzione Italiana affermano che debba essere l’Ordinamento
nazionale a dettare i principi generali per la tutela della salubrità
ambientale e dei cittadini.
Con il Decreto Legge 14/2017,
convertito in Legge 48/2017, l’articolo 50 del D.Lgs 267/2000 TUEL è stato modificato. In
tale operazione, vengono introdotte specifici orientamenti di potere
d’Ordinanza dei Sindaci come rappresentante della Comunità locale, le cui
materie possono essere previste in via permanente anche dai Regolamenti di
Comunali del rispettivo Municipio ed anche il fatto che le dette disposizioni
regolamentari locali possono prevedere alcune aree protette in cui applicare
certe sanzioni, le quali, al pari delle infrastrutture di trasporto, possono
prevedere anche l’allontanamento dai rispettivi posti per almeno quarantotto
ore ed in caso di recidiva, se si è pericolosi per la pubblica sicurezza, anche
l’interdizione relativa fino a sei mesi. Per chiunque non rispetti il citato
allontanamento scatta il raddoppio della connessa sanzione amministrativa.
Si può vedere benissimo
che i suddetti poteri per i Sindaci di tipo contingibili ed urgenti, ripresi
dai Regolamenti Comunali in via permanente, devono sempre rispettare i principi
generali dell’Ordinamento, secondo i quali gli Enti Locali non possono
legiferare in materia d’ordine e sicurezza pubblica, visto che tale competenza
è esclusivamente dello Stato centrale. In effetti, lo stesso Decreto Legge 14/2017,
convertito in Legge 48/2017 afferma che la sicurezza integrata
ed urbana viene promossa in concorrenza dalle istituzioni locali e da quelle
nazionali nel rispetto delle rispettive competenze (rispettivi art. 1
comma 2 ed articolo 4). In altre parole, la suddetta nuova banca normativa non
ha introdotto in tal caso nuovi poteri, ma ne ha specificato altri, affinché
esse stesse possano garantire un aiuto alla sicurezza in via indiretta,
rimanendo ovviamente nel ristretto cerchio delle rispettive competenze di
legislative-regolamentari.
Per quanto riguarda le
aree protette, in primo luogo posso affermare che tale potere, visto che è
affidato ai Regolamenti di Polizia Urbana dei rispettivi Comuni, che questa
disposizione potrebbe benissimo contrastare non solo con l’articolo 3 della
Costituzione Italiana, siccome si vengono a creare situazioni di disparità tra
cittadini che compiono le medesime azioni in diverse zone dello Stato, ma
palesemente, questa disposizione legislativa contrasterebbe con l’articolo 117
secondo comma lettera h) della citata carta costituzionale, poiché la materia
in questione riguarda la pubblica sicurezza e quindi non può essere competenza
di un Ente Locale. In secondo, al fine d’essere sanzionati per delle violazioni
in merito, bisogna compiere dei concreti comportamenti, che “impediscono” l’accesso e
l’usufrutto a tali zone e non più che limitano la libera fruizione, come
affermava il testo originario del connesso Decreto, prima della sua conversione
in legge. Quindi, per subire la corrispondente sanzione, con l’allontanamento
(Daspo Urbano) di cui si è già citato in precedenza le rispettive modalità
d’applicazione, bisognerà realmente impedire l’accesso e l’usufrutto alle aree
in questione (oltre che alle infrastrutture di trasporto, indipendentemente
dall’area urbana protetta in discussione) e non certo limitarlo. Di
conseguenza, se un venditore abusivo si piazza in un angolo della stazione
metropolitana o strada d’accesso ad un luogo di pregio comunale e non causa un
“vero blocco” del flusso di turisti e/o di veicoli, non potrà essere sanzionato
ai sensi della nuova disposizione legislativa. Sottolineo che come affermato
dall’articolo 9 del Decreto Legge
14, convertito in Legge 48/2017 si subisce l’allontanamento dal
luogo relativo (mini Daspo e Daspo Urbano), solo se non sono già
previste sanzioni penali ed amministrative, ad eccezione degli atti contrari alla pubblica decenza
(art. 726 Codice Penale), dello stato
d’ubriachezza (art. 688 Codice Penale), del commercio abusivo (art. 29 D.Lgs.
114/1998) e del parcheggiatore abusivo
(Art. 7 comma 15bis del D.Lgs. 285/1992 – Codice
della Strada).
Chi subisce dei
presunti abusi nelle aree protette, ovvero nelle infrastrutture dei trasporti
pubblici ed in tal caso è prevista la sanzione amministrativa del Decreto Legge 14/2017,
convertito in Legge 48/2017, (da € 100,00 a € 300,00) può fare
ricorso al Sindaco del luogo dove è stato contestato il relativo fatto. Chi
invece ha compiuto gli illeciti amministrativi delle norme nazionali suddette,
deve indirizzare la propria contestazione al Prefetto corrispondente.
Sentenza Corte Costituzionale n. 237/2006, considerato
in diritto, capoverso 4, terzo e quarto paragrafo.
Non v'è dubbio che tutte queste prescrizioni attengono chiaramente alla
materia dell'“ordine pubblico e sicurezza” non compresa nell'articolo 9 dello
Statuto e che l'art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. attribuisce alla potestà legislativa esclusiva dello
Stato.
In proposito questa Corte ha più volte precisato che tale materia si
riferisce «all'adozione delle misure relative alla prevenzione dei reati ed al
mantenimento dell'ordine pubblico» (sentenze n. 95 del 2005, nn. 6, 162 e 428 del 2004, n. 407 del 2002). In essa
rientra non soltanto la disciplina dei giochi d'azzardo, ma, inevitabilmente,
anche quella relativa ai giochi che, pur presentando un elemento aleatorio e
distribuendo vincite, non sono ritenuti giochi d'azzardo (si tratta delle
ipotesi di cui al comma 6 dell'art. 110 TULPS).
Sentenza
Corte Costituzionale n. 196/2009, considerato in diritto, capoverso
10.2, quarto e quinto paragrafo.
Il decreto del Ministro dell'interno, infatti, ha ad oggetto
esclusivamente la tutela della sicurezza pubblica, intesa come attività di
prevenzione e repressione dei reati: non solo la titolazione del decreto-legge
n. 92 del 2008 si riferisce alla «sicurezza pubblica», ma, nelle premesse al
decreto ministeriale oggetto del presente giudizio, si fa espresso
riferimento, come fondamento giuridico dello stesso, al secondo comma, lettera h), dell'art. 117 Cost., il quale,
secondo la giurisprudenza di questa Corte, attiene appunto alla prevenzione dei
reati e alla tutela dei primari interessi pubblici sui quali si regge
l'ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale (sentenze n. 237 e
n. 222 del 2006, n. 383 del 2005). Lo stesso decreto, poi, sempre nelle
premesse, esclude espressamente dal proprio ambito di riferimento la polizia
amministrativa locale.
Pertanto, i poteri esercitabili dai Sindaci, ai sensi dei commi 1 e
4 dell'art. 54 del d.lgs. n. 267 del 2000, non possono che essere quelli
finalizzati alla attività di prevenzione e repressione dei reati e non i poteri
concernenti lo svolgimento di funzioni di polizia amministrativa nelle materie
di competenza delle Regioni e delle Province autonome.
Sentenza
Corte Costituzionale n. 226/2010, considerato in diritto, capoverso 1,
secondo e terzo paragrafo.
Ad avviso della ricorrente, il comma 40 del citato art. 3 – nel
prevedere che «i sindaci, previa intesa con il prefetto, possono avvalersi
della collaborazione di cittadini non armati al fine di segnalare alle Forze di
polizia dello Stato o locali eventi che possano arrecare danno alla
sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale» – detterebbe una
disposizione esorbitante dall’ambito della materia «ordine pubblico e
sicurezza», di competenza legislativa statale esclusiva ai sensi dell’art. 117,
secondo comma, lettera h), della
Costituzione: materia da reputare circoscritta, per consolidata giurisprudenza
costituzionale, alle sole misure inerenti alla prevenzione dei reati o al
mantenimento dell’ordine pubblico.
Il generico concetto di «sicurezza urbana» si presterebbe, infatti,
a ricomprendere interventi – quali quelli volti a migliorare le condizioni di
vivibilità dei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale – che
esulano dal predetto ambito, per ricadere nel campo della «polizia
amministrativa locale», di competenza legislativa esclusiva regionale, ai sensi
dell’art. 117, secondo comma, lettera h), e quarto comma, Cost.; mentre la
formula «disagio sociale» evocherebbe un’ampia gamma di situazioni di
emarginazione, di varia matrice eziologica, che richiedono interventi
inquadrabili nella materia delle «politiche sociali», anch’essa di competenza
regionale esclusiva ai sensi del quarto comma dell’art. 117 Cost.
Sentenza
T.A.R. Piemonte n. 513/2011, fatto e diritto, capoverso 7, secondo paragrafo.
Mediante la previsione di un orario
di “disattivazione” degli apparecchi da gioco, invero, il Comune si è
arrogato una potestà normativa che non trova sostegno in alcuna
disposizione legislativa e che, anzi, si svela integrare un’invasione
delle competenze rimesse allo Stato. La questione è stata affrontata
dalla Corte costituzionale (sent. n. 237 del 2006, con la quale è stata
dichiarata l’illegittimità costituzionale di una legge della Provincia di
Trento) che ha statuito che i profili relativi all’installazione degli
apparecchi e congegni automatici da trattenimento o da gioco presso esercizi
aperti al pubblico, sale giochi e circoli privati, peraltro compiutamente
disciplinati dall’art. 110 del r.d. n. 773 del 1931, afferiscono alla
materia “ordine pubblico e sicurezza” che l’art. 117, comma 2, lett. h, Cost. riserva alla competenza
esclusiva dello Stato. Si tratta – ha precisato la Corte – di una materia che
si riferisce alla prevenzione dei reati ed al mantenimento dell’ordine pubblico,
come tale comprendente non solo la disciplina dei giochi d’azzardo ma anche
quella dei giochi consentiti che presentano elementi aleatori e che si
caratterizzano per la distribuzione di vincite: ciò, per la conseguente forte
capacità di attrazione e di concentrazione di utenti e per l’elevata
probabilità di usi illegali degli apparecchi.
Un esempio delle
dichiarate operazioni può essere il Regolamento
di Polizia Urbana del Comune di Fenegrò (CO) che all’articolo 44 comma 4 afferma: “Sulle
strade del territorio comunale ovvero in aree pubbliche od aperte al pubblico è
vietato l’esercizio del meretricio e qualunque atto contrario al decoro ed alla
moralità, ivi compresa la sosta e la fermata dei veicoli avente finalità di
contrattazione e adescamento di potenziali clienti”.
Questo divieto è simile
a quello presente in molte Ordinanze Sindacali anti prostituzione bocciate
dalla Corte Costituzionale con la suddetta sentenza.
La succitata norma
regolamentare dimostra delle irregolarità in ambito di meretricio tra soggetti
maggiorenni e per spiegare queste si scrive di seguito un relativo commento, il
quale è aggiornato ai dettami della Legge 48/2017 (D.L. 14/2017).
Letto l’articolo 44 comma 4 del Regolamento di Polizia Urbana del Comune di Fenegrò (CO), il quale pone il divieto indiscriminato dell’esercizio e dell’adescamento della prostituzione sulle strade del relativo territorio con il riferimento in merito diretto a potenziali clienti;
Visto l’articolo 7 del D.Lgs. 267/2000 T.U.E.L. che obbliga agli Enti Locali ad emanare i rispettivi Regolamenti in conformità alle leggi;
Vista la Legge 75/1958 che sanziona all’articolo 5 l’esercizio della prostituzione in luoghi pubblici o aperti al pubblico solo con determinati comportamenti e vieta con l’articolo 7 ad ogni autorità di Pubblica Sicurezza, Sanitaria o di altro tipo amministrativo di registrare in forma diretta od indiretta le donne che sono dedite alla prostituzione o presumibilmente tali;
Considerato che la suddetta branca legislativa ha abrogato l’articolo 208 del Regio Decreto 773/1931 T.U.L.P.S., che proibiva la prostituzione in luogo pubblico in maniera totale;
Visto l’articolo 3-quinquies comma 2 del D.Lgs. 152/2006 (Testo Unico dell’Ambiente), che afferma che la tutela ambientale può essere disciplinata anche dagli Enti Locali con norme maggiormente restrittive, rispetto a quelle nazionali, però quest’ultime devono essere richieste da situazioni particolari in merito e non devono comportare un’arbitraria discriminazione, anche attraverso ingiustificati aggravi procedimentali;
Visti gli articoli 1 e 4 del Decreto Legge 14/2017, convertito con la Legge 48/2017, i quali affermano che gli Enti Locali concorrono con lo Stato alla tutela della sicurezza integrata ed urbana, nel rispetto dei limiti e responsabilità delle proprie competenze;
Visto l’articolo 157 del Codice della Strada (D.Lgs. 285/1992 e modifiche), il quale rende possibile la fermata dei veicoli se non si causano condizioni di pericolo o intralcio alla circolazione stradale;
Visto l’articolo 726 del Codice Penale che con la Legge 205/1999 non prevede più il reato di linguaggio contrario alla pubblica decenza in luoghi pubblici od aperti al pubblico;
Considerata la Sentenza della Corte di Cassazione n. 21432/2006 che ha trattato un’Ordinanza Sindacale con divieti simili in materia, affermando che le problematiche della prostituzione su strada sono inquadrate nell’ordine pubblico;
Visti gli articoli 3, 13, 16, 17, 116 e 117 secondo comma lettera h) ed s) e relativo terzo comma della Costituzione Italiana che dichiarano che tutti i cittadini hanno pari trattamento sociale, che la libertà personale è inviolabile, che la circolazione delle persone può essere limitata solo per motivi di sicurezza o sanità pubblica, che i cittadini hanno il diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi e che la legislazione su ordine, sicurezza pubblica e tutela dell’ambiente è di esclusiva competenza dello Stato con l’esclusione della Polizia Amministrativa Locale e che la legislazione locale sulla sanità e sull’ambiente in deroga deve essere conforme ai principi generali dell’Ordinamento Nazionale e
Viste le Sentenze della Corte Costituzionale n. 237/2006 (considerato in diritto, capoverso 4, terzo e quarto paragrafo), n. 196/2009 (considerato in diritto, capoverso 10.2, quarto e quinto paragrafo), n. 226/2010 (considerato in diritto, capoverso 1, secondo e terzo paragrafo) e del TAR Piemonte n. 513/2011 (fatto e diritto, capoverso 7, secondo paragrafo), le quali affermano che i Regolamenti di Polizia Urbana non possono contenere normative a tutela della pubblica sicurezza e/o ordine pubblico;
SI DESUME
che la disposizione regolamentare in esame non sia conforme ai principi generali dell’Ordinamento.
Difatti, si può denotare che l’articolo 44 comma 4 del Regolamento di Polizia Urbana del Comune di Fenegrò (CO), lungi dal tutelare la sanità pubblica, l’ambiente e tutte le altre materie di competenza degli Enti locali, come inteso dagli art. 116 e 117 della Costituzione Italiana, tende come scopo immediato a contrastare l’esercizio del meretricio sulla via e la relativa avvalenza esercitata con autoveicoli in maniera vasta ed indiscriminata, anche quando i detti comportamenti, svolti oltretutto da soggetti maggiorenni, non sono compiuti a danno della collettività e dei parametri suddetti; ovvero senza che esse stesse siano accompagnate da concreti comportamenti in violazioni della pubblica decenza e/o intralcio, oppure pericolo alla circolazione stradale, o per l’ambiente medesimo. Questo è anche in palese violazione dei principi generali dettati dall’articolo 5 della Legge 75/1958 che, abrogando l’articolo 208 del TULPS (Regio Decreto 773/1931), afferma che l’esercizio del meretricio in luoghi pubblici od aperti al pubblico viene consentito, salvo la relativa correlazione di determinati atti svolti a danno della cittadinanza.
In altre parole, con detto provvedimento non si è affatto voluto imporre il divieto in esame in relazione alle esigenze di tutela delle materie descritte, ma si è voluto sanzionare, in modo illegittimo per le ragioni esposte, l’attività riguardante le prestazioni sessuali a pagamento.
Inoltre, tale normativa regolamentare contrasta anche con i principi dell’articolo 157 del Codice della Strada (D.Lgs. 285/1992 e modifiche), il quale rende possibile la fermata degli autoveicoli sulle strade, ad eccezione di particolari condizioni e comportamenti per la tutela della sicurezza alla viabilità. Questa condizione è stata oltretutto rilevata dalla Sentenza n. 21432/2006 della Corte di Cassazione che ha trattato un divieto simile.
In più, la disposizione in esame, in conseguenza ad una descrizione della clientela del meretricio come “potenziale”, può far realizzare una registrazione di soggetti dediti a questa attività anche senza accertare il relativo singolo fatto illecito compiuto, oppure effettuare la corrispondente sanzione, quando i probabili avvalenti chiedono ai presunti prostitute/i semplici informazioni od altra argomentazione estranea alle contrattazioni di prestazioni sessuali a pagamento. Tale dettame rende l’articolo 44 comma 4 del Regolamento di Polizia Urbana del Comune di Fenegrò (CO) non consono all’articolo 7 della Legge 75/1958, il quale vieta alle autorità pubbliche di registrare in maniera diretta od indiretta le donne che esercitano la prostituzione o presumibilmente tali.
Oltre a ciò, il divieto in questione nella sua vastità e generalità viola anche i principi degli articoli 3, 13, 16 e 17 della Costituzione Italiana, che garantiscono la parità sociale tra i cittadini, la rispettiva libertà inviolabile, la limitazione agli sessi soggetti di circolare sul territorio dello Stato solo per motivi di pubblica sicurezza o sanità, poiché la non contrattazione di prestazioni sessuali a pagamento non rientra nell’esercizio del meretricio ed il fatto di potersi riunire pacificamente e senz’armi.
Ulteriormente ed in via principale, si deve riscontrare la violazione dei dettami dell’articolo 117 secondo comma lettera h) della Carta Costituzionale, in considerazione del fatto che la disposizione regolamentare in esame ha la caratteristica di disciplinare l’ordine pubblico e/o la sicurezza pubblica, le cui materie, senza alcuna possibilità di deroga in merito, sono di competenza esclusiva dello Stato con l’esclusione della Polizia Amministrativa Locale e di conseguenza, essa stessa non può essere inserita in un Regolamento di Polizia Urbana. Tale prima detta situazione è stata avvalorata dalle Sentenze della Corte Costituzionale n. 237/2006, 119/2009 e 226/2010 e dalla Pronuncia del TAR del Piemonte n. 513/2011; tanto che il Sindaco può emanare provvedimenti sulla Sicurezza Urbana non come amministratore del proprio Comune, ma come “Ufficiale del Governo” (art. 54 D.Lgs. 267/2000).
In effetti, gli Enti Locali, ai sensi degli articoli 1 e 4 della Legge 48/2017 (D.L. 14/2017), devono concorrere alla garanzia della sicurezza integrata ed urbana nel rispetto delle rispettive competenze.
Infine, si deve sottolineare come la disciplina di eventuali atti contrari alla pubblica decenza in danno dell’ambiente o della sanità pubblica, causati in concomitanza al meretricio su strada, deve rientrare nell’esclusiva competenza delle leggi nazionali, poiché essi stessi hanno una inquadratura principale nella materia dell’Ordine pubblico ed una relativa legislazione effettuata dagli Enti locali, scavalcherebbe indebitamente i dettami costituzionali in merito, in violazione anche del principio di sussidiarietà tra lo Stato e le citate Istituzioni decentrate, previsto dalla medesima Costituzione, la quale agli articoli 116 e 117 terzo comma prevede che sia l’Ordinamento Nazionale a dettare i principi generali per la tutela della salubrità ambientale e dei cittadini.
Anche il Comune di Cologno al Serio (BG) ha deciso di
aggiornare il rispettivo Regolamento di
Polizia Locale, inserendo in esso i tipici divieti che riportano le Ordinanze Sindacali
contro la prostituzione da strada. Il relativo articolo 5 afferma ai commi
3 e 5:
“3. Nel territorio comunale di Cologno al Serio e prevalentemente nelle
strade e nelle aree pubbliche dove il fenomeno della prostituzione su strada si
manifesti, in qualsiasi ora del giorno e della notte, principalmente lungo la
strada provinciale S.p. n° 122 denominata “Strada Francesca”, la Via Dei Bruseghetti, la Strada comunale dei Bruseghetti,
il Viae dell’Artigianato, la Via Antignano, la Strada
comunale detta dei pascoli delle Galose, la Strada
comunale detta della Bettosca, la Strada comunale del
Casale, la Strada comunale dei Prati, la strada provinciale S.p. n° 128, la Via
Muratella, la Via del Cassinello, la Strada comunale
detta del Cassinello Bellini, la Strada comunale dei
Livelli Vecchi, la Strada comunale detta dei Livelli Nuovi, la Strada comunale
detta del Palazzo, la Via Ariosto, la S.p. n° 117, la Strada comunale delle Fornasette, Via Spirano, la Strada detta i Morti dell’Arca,
la Strada comunale dei Prati di Mazzano, nonché in tutte le strade sterrate ad
esse adiacenti e nelle aree pubbliche collegate: è vietato a chiunque
contrattare ovvero concordare prestazioni sessuali a pagamento, oppure
intrattenersi, anche dichiaratamente solo per richiedere informazioni, con
soggetti che esercitano l’attività di meretricio su strada ed in luogo pubblico
o che per l’atteggiamento, ovvero per l’abbigliamento ovvero per le modalità
comportamentali manifestino comunque l’intenzione di esercitare l’attività
consistente in prestazioni sessuali. Se l’interessato è a bordo di un veicolo,
la violazione si concretizza anche con la semplice fermata al fine di
contrattare il soggetto dedito al meretricio. La violazione si concretizza sia
qualora la manovra veicolare sia compiuta con modalità tali da creare
situazioni di pericolo per la circolazione stradale che con la semplice fermata
o sosta sulla strada. Consentire la salita sul proprio veicolo di uno dei
soggetti come sopra identificati costituisce conferma palese dell’avvenuta
violazione al presente regolamento.”.
“5. I soggetti compiutamente identificati che esercitano la
prostituzione lungo le pubbliche vie assumendo comportamenti pericolosi per la
circolazione stradale o idonei e/o finalizzati a distrarre i conducenti dei
veicoli, ad indurli a fermarsi a fermare o rallentare gli stessi per
contrattare un’eventuale prestazione sessuale con il potenziale cliente,
soggiacciono alla medesima sanzione amministrativa pecuniaria prevista dal
medesimo articolo.”
Si può benissimo notare
che la succitata norma dimostra delle imperfezioni che la rendono illecita.
In merito si elenca un
commento esplicativo, aggiornato con la Legge 48/2017 (D.L. 14/2017).
Letto l’articolo 5 commi 3 e 5 del Regolamento di Polizia Urbana del Comune di Cologno al Serio (BG), il quale pone il divieto indiscriminato dell’esercizio e dell’adescamento della prostituzione sulle strade del relativo territorio con il riferimento in merito a prostitute che vengono riconosciute tali dal rispettivo atteggiamento e/o comportamento e nei confronti di potenziali clienti;
Visto l’articolo 7 del D.Lgs. 267/2000 T.U.E.L. che obbliga agli Enti Locali ad emanare i rispettivi Regolamenti in conformità alle leggi;
Visto l’articolo 3 comma secondo delle Preleggi del Codice Civile, il quale afferma che i Regolamenti degli Enti diversi dal Governo devono rispettare i principi generali dell’Ordinamento;
Vista la Legge 75/1958 che sanziona all’articolo 5 l’esercizio della prostituzione in luoghi pubblici o aperti al pubblico solo con determinati comportamenti e vieta con l’articolo 7 ad ogni autorità di Pubblica Sicurezza, Sanitaria o di altro tipo amministrativo di registrare in forma diretta od indiretta le donne che sono dedite alla prostituzione o presumibilmente tali;
Considerato che la suddetta ultima branca legislativa ha abrogato l’articolo 208 del Regio Decreto 773/1931 T.U.L.P.S., che proibiva la prostituzione in luogo pubblico in maniera totale;
Visto l’articolo 3-quinquies comma 2 del D.Lgs. 152/2006 (Testo Unico dell’Ambiente), che afferma che la tutela ambientale può essere disciplinata anche dagli Enti Locali con norme maggiormente restrittive, rispetto a quelle nazionali, però quest’ultime devono essere richieste da situazioni particolari in merito e non devono comportare un’arbitraria discriminazione, anche attraverso ingiustificati aggravi procedimentali;
Visti gli articoli 1 e 4 del Decreto Legge 14/2017, convertito con la Legge 48/2017, i quali affermano che gli Enti Locali concorrono con lo Stato alla tutela della sicurezza integrata ed urbana, nel rispetto dei limiti e responsabilità delle proprie competenze;
Visto l’articolo 157 del Codice della Strada (D.Lgs. 285/1992 e modifiche), il quale rende possibile la fermata dei veicoli se non si causano condizioni di pericolo o intralcio alla circolazione stradale;
Considerato che il comma 3 dell’articolo 5 del Regolamento in questione prevede espressamente un divieto anche quando non si causano le suddette situazioni;
Visto l’articolo 726 del Codice Penale che con la Legge 205/1999 non prevede più il reato di linguaggio contrario alla pubblica decenza in luoghi pubblici od aperti al pubblico;
Considerata la Sentenza della Corte di Cassazione n. 21432/2006 che ha trattato un’Ordinanza Sindacale con divieti simili in materia e che ha inquadrato i problemi connessi alla prostituzione nell’ambito dell’ordine pubblico;
Visti gli articoli 3, 13, 16 e 17 della Costituzione Italiana, che tutelano la parità d’eguaglianza sociale, l’inviolabile libertà personale, la libertà di circolazione dei cittadini, che può essere limitata solo per motivi di sicurezza o sanità pubblica ed il diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi;
Visto l’articolo 117 secondo comma lettera h) ed s) e del relativo terzo comma della Carta Costituzionale, il quale rivela che la legislazione in ambito di ordine pubblico, sicurezza pubblica e tutela dell’ambiente è esclusiva competenza dello Stato con esclusione della Polizia Amministrativa Urbana e che la legislazione locale sulla sanità deve essere conforme ai principi generali dell’Ordinamento Nazionale e
Viste le Sentenze della Corte Costituzionale n. 237/2006 (considerato in diritto, capoverso 4, terzo e quarto paragrafo), n. 196/2009 (considerato in diritto, capoverso 10.2, quarto e quinto paragrafo), n. 226/2010 (considerato in diritto, capoverso 1, secondo e terzo paragrafo) e del TAR Piemonte n. 513/2011 (fatto e diritto, capoverso 7, secondo paragrafo), le quali affermano che i Regolamenti di Polizia Urbana non possono contenere normative a tutela della pubblica sicurezza e/o ordine pubblico, avvalorando i parametri del capoverso precedentemente citato;
SI DESUME
che le disposizioni in esame non siano conformi ai principi generali dell’Ordinamento.
Difatti, nella lettura della relativa norma regolamentare si deduce che i commi 3 e 5 del rispettivo articolo 5, lungi dal tutelare la salute pubblica e l’ambiente e tutte le altre materie di competenza degli Enti locali, ai sensi degli art. 116 e 117 della Costituzione Italiana, tendono come scopo immediato a reprimere il meretricio su strada in qualsiasi forma, anche quando questo non causa chiari danni alla collettività, compresi il parametri suddetti e coinvolge unicamente soggetti maggiorenni, ovvero senza che le stesse condotte siano accompagnate da concreti comportamenti in violazioni della pubblica decenza e/o intralcio, oppure pericolo alla circolazione stradale, o per l’ambiente medesimo. Tale situazione si ritrova anche in palese violazione dei principi generali dettati dall’articolo 5 della Legge 75/1958 che, abrogando l’articolo 208 del TULPS (Regio Decreto 773/1931), afferma che l’esercizio del meretricio in luoghi pubblici od aperti al pubblico viene consentito, salvo la correlazione di determinati atti svolti a danno della cittadinanza.
In altre parole, con detto provvedimento
non si è affatto voluto imporre il divieto in esame in relazione alle esigenze
di tutela delle materie descritte, ma si è voluto sanzionare, in modo
illegittimo per le ragioni esposte, l’attività riguardante le prestazioni
sessuali a pagamento.
In più, lo stesso Regolamento di Polizia Locale, siccome pone di registrare le persone che esercitano il meretricio o sospettate di svolgere la medesima attività solo dall’abbigliamento e/o dall’atteggiamento con oltretutto potenziali connessi clienti, senza obbligatoriamente cogliere questi soggetti sul singolo fatto in merito compiuto, realizza una violazione palese dell’articolo 7 della suddetta norma nazionale sulla prostituzione, il quale vieta alle autorità di registrare le donne che praticano il mercimonio o sospettate di svolgere tale attività.
Inoltre, questa normativa regolamentare contrasta anche con i principi dell’articolo 157 del Codice della Strada (D.Lgs. 285/1992 e modifiche), il quale rende possibile la fermata degli autoveicoli sulle strade, ad eccezione di particolari condizioni e comportamenti per la tutela della sicurezza alla viabilità. Questa condizione è stata oltretutto rilevata dalla Sentenza n. 21432/2006 della Corte di Cassazione che ha trattato un divieto simile.
Oltretutto, vietare la richiesta di semplici informazioni estranee alla contrattazione di prestazioni sessuali a pagamento senza causare condizioni di pericolo, esclude palesemente ogni riferimento alla tutela della sicurezza pubblica violando l’articolo 16 della Costituzione, il quale limita la libera circolazione solo in caso di comprovati motivi di pubblica sicurezza.
In più, si può riscontrare l’ulteriore contrasto agli articoli 3, 13 e 17 della Carta Costituzionale, poiché i divieti in questione con la loro vastità e generalità violano l’uguaglianza sociale tra tutti i cittadini, la libertà inviolabile di questi ed il relativo diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi.
Ulteriormente ed in via principale, si deve riscontrare anche la violazione della Costituzione nei relativi dettami dell’articolo 117 secondo comma lettera h), in considerazione del fatto che la disposizione regolamentare in esame ha la caratteristica di disciplinare l’ordine pubblico e/o la sicurezza pubblica, le cui materie, senza alcuna possibilità di deroga in merito, sono di competenza esclusiva dello Stato con l’esclusione della Polizia Amministrativa Locale e di conseguenza, essa stessa non può essere inserita in un Regolamento di Polizia Urbana. Tale prima detta situazione è stata avvalorata dalle Sentenze della Corte Costituzionale n. 237/2006, 119/2009 e 226/2010 e dalla Pronuncia del TAR del Piemonte n. 513/2011; tanto che il Sindaco può emanare provvedimenti sulla Sicurezza Urbana non come amministratore del proprio Comune, ma come “Ufficiale del Governo” (art. 54 D.Lgs. 267/2000).
In effetti, gli Enti Locali, ai sensi degli articoli 1 e 4 della Legge 48/2017 (D.L. 14/2017), devono concorrere alla garanzia della sicurezza integrata ed urbana nel rispetto delle rispettive competenze.
Infine, si deve sottolineare come la disciplina di eventuali atti contrari alla pubblica decenza in danno dell’ambiente o della sanità pubblica, causati in concomitanza al meretricio su strada, deve rientrare nell’esclusiva competenza delle leggi nazionali, poiché essi stessi hanno una inquadratura principale nella materia dell’Ordine pubblico ed una relativa legislazione effettuata dagli Enti locali, scavalcherebbe indebitamente i dettami costituzionali in merito, in violazione anche del principio di sussidiarietà tra lo Stato e le citate Istituzioni decentrate, previsto dalla medesima Costituzione, la quale agli articoli 116 e 117 terzo comma prevede che sia l’Ordinamento Nazionale a dettare i principi generali per la tutela della salubrità ambientale e dei cittadini.
Scritto il 23 maggio 2011 ed aggiornato il 24 aprile 2017