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SENTENZA TAR VENETO CONTRO REGOLAMENTI COMUNALI

 

 

 

Il TAR del Veneto con la Sentenza n. 237/2017 ha annullato il divieto d’offerta di prostituzione su strada, previsto da un Regolamento di Polizia Urbana di un Comune della stessa Regione, visto che tale normativa locale vietava la relativa pratica in via indiscriminata senza chiare limitazioni, al fine di tutelare le materie di competenza degli Enti Locali, senza principio di tassatività e determinatezza in questione, necessarie per evidenziare e qualificare esplicitamente il bene tutelato in merito. Il medesimo Organo Giudicante ha affermato oltretutto che la disciplina della detta materia generica spetta in via esclusiva allo Stato Centrale e di conseguenza, ha annullato la Delibera del connesso Consiglio Comunale, che ha istituito il divieto in questione.

Si riporta di seguito il testo della citata Sentenza con relativa privacy.

 

 

 

 

 

N. 00237/2017 REG.PROV.COLL.

N. 00813/2016 REG.RIC.

 

 

R E P U B B L I C A I T A L I A N A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Prima)

 

 

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 813 del 2016, proposto da: (omissis), rappresentata e difesa dall'avvocato M. F., con domicilio ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria T.A.R. Veneto in (omissis);

contro

Comune di Padova, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati (omissis), con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in (omissis);

per l'annullamento

del Regolamento di Polizia Urbana del Comune di Padova, approvato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 63 del 29.9.2014, come modificato con delibera del Consiglio Comunale n. 31 del 23.4.2015, limitatamente al suo articolo 11 recante “prestazioni sessuali a pagamento”; del verbale di accertamento di sanzione amministrativa n. 8138010 del 24.3.2016.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Padova;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 febbraio 2017 il dott. N. F. e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con il presente gravame la ricorrente ha impugnato il verbale di accertamento della Polizia Locale del Comune di Padova n. 8138010 del 24.03.2016 unitamente all'art. 11 del Regolamento di Polizia Urbana del Comune di Padova. In particolare, con il suddetto verbale, gli agenti della Polizia Locale del Comune di Padova avevano accertato la violazione da parte dell’odierna ricorrente, delle disposizioni di cui all'art. 11, comma 1-4 del Regolamento di Polizia Urbana e all'art. 7-bis del D.lgs. 267/2000. Era stata, pertanto, elevata una sanzione amministrativa pecuniaria pari ad Euro 500,00, sostituibile, su richiesta del trasgressore con la prestazione di attività di pubblica utilità ex artt. 11, co. 5 e 3, co. 6 e ss. del citato regolamento.

L'art. 11 del Regolamento di Polizia Urbana, nella nuova stesura assunta a seguito della deliberazione del C.C. n. 31 del 23.04.2015, invece, prevede il divieto, in tutto il territorio comunale, di sostare in luogo pubblico o aperto al pubblico “in atteggiamento che connoti, in modo inequivocabile, l'attività di meretricio”. In particolare, ai sensi di tale norma, è vietata l'attività di prostituzione su strada che, "per le circostanze, le modalità e le forme con cui si svolge, offenda la pubblica decenza o limiti la piena e libera fruibilità degli spazi pubblici ovvero ne pregiudichi le condizioni di vivibilità" (art. 11, comma 1).

Con il primo motivo di ricorso, l'odierna ricorrente lamenta la carenza ed eccesso di potere del Comune di Padova nell'adozione dell'art. 11 del Regolamento di Polizia Urbana e la violazione del principio di legalità, anche in riferimento agli artt. 114, comma 2, e 117 comma 2, 6 c 8, nonché all'art. 1 della L. n. 689/1981 in combinato disposto con l'art. 25 Cost. Verrebbero, inoltre, violati gli artt. 16, 17, 23, e 97 della Costituzione, l'art. 7 della L. n. 75/1958 e l'art. 157 del D.Lgs. 285/1992.

Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente lamenta la violazione del principio di adeguatezza e proporzionalità ex art. 118 Cost. nell' esercizio del potere regolamentare da parte del Consiglio Comunale in quanto verrebbero lese "la libertà personale, di movimento e quella di intessere relazioni sociali" a fronte di vantaggi per la collettività che sarebbero "genericamente definiti" quali quello di garantire la fruibilità, il decoro e la sicurezza su tutto il territorio comunale.

Con il terzo motivo di ricorso, la ricorrente censura il divieto imposto dal Regolamento Comunale per genericità, illogicità, indeterminatezza e arbitrarietà.

Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente lamenta come il divieto in questione sia del tutto incoerente ed inadeguato rispetto alle finalità prefissate di lotta contro la prostituzione.

Infine, con il quinto motivo di ricorso, la ricorrente deduce che l'art. 11 del Regolamento di Polizia Urbana violerebbe il divieto di discriminazione fondato sull'identità culturale od etnica, sanzionato dagli artt. 43 del D.Lgs. n. 286/1998 e dal D.Lgs n. 215/2003 di attuazione alla Direttiva 2000/43/UE.

Si è costituito il Comune di Padova eccependo il difetto di giurisdizione quanto all’impugnazione della sanzione amministrativa e, per il resto, l’irricevibilità del ricorso per tardività, in quanto notificato ben oltre il termine di 60 giorni dalla pubblicazione della deliberazione del Consiglio Comunale n. 31 del 23.04.2015, con cui era stato modificato l’art. 11 del Regolamento di Polizia Urbana oggetto del presente giudizio.

Nel merito, il Comune di Padova ha contestato la fondatezza dei singoli motivi di ricorso.

All’udienza del 22 febbraio 2017, all’esito della discussione delle parti, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Ritiene pregiudizialmente il Collegio che, come eccepito dal Comune di Padova, in ordine all’impugnazione della sanzione pecuniaria debba essere dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice adito, trattandosi di controversia che deve essere conosciuta dal giudice ordinario, essendo il rimedio previsto dall’ordinamento avverso l’applicazione di una tale sanzione amministrativa quello dell'opposizione al giudice di pace di cui agli artt. 22 e 23 della L. 24 novembre 1981, n. 689.

2. Diversamente, quanto al regolamento di polizia urbana presupposto, l’eccezione d’irricevibilità non può essere accolta, non essendovi prova che l’odierna ricorrente esercitasse abitualmente l’attività di prostituzione nel territorio del Comune di Padova prima dell’accertamento di cui al verbale impugnato; dovendosi quindi ritenere che l’interesse all’impugnazione del regolamento sia sorto solo in occasione dell’adozione del provvedimento sanzionatorio.

3. Nel merito il ricorso è fondato.

3.1. In particolare, risulta fondata la censura, contenuta nel primo e nel terzo motivo di ricorso, d’illegittimità dell’art. 11, comma, 1, del Regolamento, per avere detta disposizione vietato comportamenti descritti in maniera eccessivamente generica ed indeterminata, in violazione del principio di legalità ex art. 1 della l. n. 689/1981.

3.2. Sul punto si impongono però delle precisazioni.

3.2.1. Innanzitutto, deve essere chiarito che la norma contestata non è direttamente volta a vietare la prostituzione in sé e per : ciò esulerebbe evidentemente dalle competenze regolamentari del Comune, come delineate dall’art. 7 del D.Lgs. 267/2000, e si porrebbe in contrasto con la legislazione statale in materia. Infatti, come già affermato da questo Tribunale “l’ordinamento vigente non consente la repressione di per sé dell’esercizio dell’attività riguardante le prestazioni sessuali a pagamento prescindendo dalla rilevanza che tale attività possa assumere sotto altri profili, autonomamente sanzionabili, per le modalità con cui è svolta o per la concreta lesione di interessi riconducibili alla sicurezza urbana” (v. ordinanza cautelare n. 22/2009). Nel caso di specie, la norma in esame ha invece la finalità di risolvere determinate situazioni di degrado urbano legate alle particolari modalità di svolgimento della prostituzione.

3.2.2. Ciò posto, nella materia che viene dunque qui in rilievo – ai sensi dell’art. 1 del Regolamento di polizia urbana del Comune di Padova: convivenza civile, vivibilità e igiene, pubblico decoro, fruibilità dei beni e degli spazi pubblici - la potestà regolamentare del Comune discende dal combinato disposto degli artt. 7 del d.lgs. n. 267/2000 (che attribuisce ai Comuni la potestà di adottare regolamenti nelle materie di propria competenza) e 158, comma 2, del d.lgs. n. 112/1998 (ai sensi del quale i Comuni sono titolari delle funzioni di polizia amministrativa locale nelle materie ad essi trasferite od attribuite). A sua volta, l’art. 7-bis del d.lgs. n. 267 cit. – anch’esso richiamato dall’art. 2 del Regolamento in questione – delinea il quadro normativo entro il quale si esplica l’esercizio del potere sanzionatorio da parte del Comune per le violazioni delle disposizioni contenute nei regolamenti comunali. Come già rilevato dalla giurisprudenza in relazione alla previgente disciplina ex art. 106 del r.d. n. 383/1934, il principio di legalità dell’illecito amministrativo di cui all’art. 1 della l. n. 689/1981 non può estendersi, quanto al precetto, ai regolamenti comunali e provinciali, i quali trovano il loro fondamento costituzionale nel riconoscimento delle autonomie locali statuito dall’art. 5, nonché (prima della riforma del 2001) dall’art. 128 Cost., con i quali deve coordinarsi il principio della riserva di legge, di carattere relativo, previsto dall’art. 23 Cost. (Cass. civ., Sez. III, 18 febbraio 2000, n. 1865; id., Sez. I, 13 dicembre 1995, n. 12779; T.A.R. Toscana n. 702/2010). In particolare, la Suprema Corte ha chiarito che il principio di legalità è qui inteso nell’accezione (formale) di riserva di legge, nel senso, cioè, che nella materia in discorso non opera la riserva di legge discendente dall’art. 1 della l. n. 689/1981, potendo esplicarsi la potestà regolamentare degli Enti locali; ciò non toglie, tuttavia, che la suddetta potestà debba esplicarsi rispettando i principi, di matrice penalistica, che governano i procedimenti sanzionatori. Tra tali principi rientrano certamente, oltre a quello di non retroattività, quelli di tassatività e determinatezza della fattispecie illecita, la cui valenza anche costituzionale ne avrebbe imposto il rispetto nella vicenda per cui è causa (cfr., per tassatività e determinatezza della fattispecie, quali necessarie conseguenze del principio penalistico di legalità, Corte Cost., 8 giugno 1981, n. 96). In altre parole, nel caso di specie si può prescindere dal principio di legalità ex art. 1 della l. n. 689 cit. (secondo i dettami della Corte di Cassazione), ma limitatamente all’accezione che di esso viene data in termini di riserva di legge, non anche rispetto alle altre accezioni che pure vi si riconnettono (oltre all’irretroattività, peraltro prevista per i regolamenti dagli artt. 10 e 11 delle disp. prel. al c.c., la tassatività e la determinatezza della fattispecie). In tali altre accezioni trovano, infatti, espressione i principi che governano i procedimenti sanzionatori e che ne riecheggiano la matrice penalistica, in forza dell’art. 25, secondo comma, Cost., nonché dell’art. 24 Cost.: ed invero, una descrizione non puntuale del fatto contestato porta a menomare il diritto costituzionale alla difesa, data la difficoltà di confrontarsi con un’imputazione generica e non precisa; identica menomazione deriverebbe, poi, dall’applicazione analogica delle norme sanzionatorie vietata dal principio di tassatività (cfr. T.A.R. Toscana n. 702/2010).

3.3. Fatto questo doveroso chiarimento e passando ad applicare i principi di tassatività e determinatezza alla disposizione gravata e posta a fondamento della sanzione irrogata (art. 11, comma 1, del Regolamento di Polizia Municipale, non avendo interesse la ricorrente ad impugnare i successivi commi), ad avviso del Collegio deve ritenersi che detta disposizione non sia conforme ai succitati principi. Ed invero, all’interno del medesimo primo comma dell’art. 11 in questione, la perentorietà e la risolutezza del divieto, contenuto nel primo periodo, di “sostare in luoghi pubblici o aperti al pubblico così come definiti dall’art. 2, comma 1 del Codice della Strada, in atteggiamento che connoti, in modo inequivocabile, l'attività di meretricio”, risulta contraddetta e irrimediabilmente compromessa dalla genericità e dall’astrattezza della regola contenuta nel periodo successivo (volta a specificare le caratteristiche del comportamento vietato), secondo cui “In particolare è vietata l'attività di prostituzione su strada che, per le circostanze, le modalità e le forme con cui si svolge, offenda la pubblica decenza o limiti la piena e libera fruibilità degli spazi pubblici ovvero ne pregiudichi le condizioni di vivibilità”. E’ evidente infatti che l’uso di parole e locuzioni vaghe e imprecise come, “pubblica decenza” o “limitazione della piena e libera fruibilità degli spazi pubblici” o “pregiudizio per le condizioni di vivibilità”, rende del tutto opinabile l’individuazione delle particolari situazioni in presenza delle quali scatta il divieto dell’attività di prostituzione su strada, essendo rimesso alla sensibilità del singolo agente accertatore l’apprezzamento circa la sussistenza nel caso concreto di quelle particolari circostanze o modalità di svolgimento dell’attività della prostituzione che siano tali da offendere la pubblica decenza, o da limitare la piena e libera fruibilità degli spazi pubblici. Tale indeterminatezza dell’ambito di applicazione del divieto in questione, lasciato all’apprezzamento discrezionale della P.A., pertanto, non consente al soggetto dedito al meretricio e, più in generale a tutti i consociati, di comprendere previamente quali siano i comportamenti sanzionati dalla norma, con conseguente illegittima restrizione della libertà generale dei cittadini.

4. Conclusivamente, con riferimento all’impugnazione del verbale di accertamento di sanzione amministrativa deve essere dichiarato il difetto di giurisdizione dell'adito Tribunale amministrativo regionale e, ai sensi dell'art. 11 cod. proc. amm., va individuata nel giudice ordinario l'autorità munita di giurisdizione, dinanzi alla quale, d’altro canto, il processo è stato già iniziato; mentre, con riferimento all’impugnazione del regolamento, il ricorso è fondato e deve essere accolto nelle parti in cui è diretto a censurare l’art. 11 comma 1, del Regolamento di Polizia Municipale approvato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 63 del 29 settembre 2014, come modificato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 31 del 23 aprile 2015, e ciò in ragione della fondatezza del primo e del terzo motivo e con assorbimento degli altri.

5. Per conseguenza, il comma 1 dell’art. 11 del Regolamento di Polizia urbana del Comune di Padova deve essere annullato.

6. Le spese di lite, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, dichiara il proprio difetto di giurisdizione quanto all’impugnazione della sanzione pecuniaria; accoglie per il resto il ricorso nei limiti indicati in motivazione e, per l’effetto, annulla il comma 1 dell’art. 11 del Regolamento di polizia Urbana del Comune di Padova; condanna il Comune di Padova in persona del Sindaco pro tempore a rimborsare le spese di lite alla ricorrente, che si liquidano in complessivi € 1.000,00, oltre oneri accessori.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 22 febbraio 2017 con l'intervento dei magistrati:

M. N., Presidente

P. D. B., Consigliere

N. F., Primo Referendario, Estensore

 

L'ESTENSORE

N. F.

IL PRESIDENTE

M. N.

IL SEGRETARIO

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti

interessati nei termini indicati.

 

 

 

 

 

 

Scritto il 26 gennaio 2018

 

 

 

 

 

 

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