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ULTERIORE LUCCIOLA GRAZIATA DALLA CASSAZIONE

 

 

Con la Sentenza n. 11859/2015 la Corte di Cassazione ha riaffermato che il semplice meretricio su strada non può essere considerato un elemento di fatto concreto per giustificare la misura di prevenzione del Foglio di Via Obbligatorio (D.Lgs. 159/2011) ed ha ribaltato le pronunce di primo e secondo grado, rispettivamente del Tribunale di Fermo e della Corte d’Appello d’Ancona. In effetti, non solo l’attività di prostituzione, anche sulle vie non è reato come semplice esercizio, ma esso stesso in questa modalità non costituisce un pericolo per la pubblica sicurezza; al massimo può essere contro la pubblica moralità, tranne che tale ultimo parametro è stato cancellato nel 1988 e la nuova disposizione legislativa in merito non ha ripreso tale condizione.

Si elenca di seguito il testo della succitata Sentenza.

 

 

 

 

 

Penale Sent. Sez. 1 Num. 11859 Anno 2015

Presidente: C. A.

Relatore: S. E. G.

Data Udienza: 04/03/2015

 

SENTENZA

sul ricorso proposto da: P. I. nata. il (omissis) avverso la sentenza n. 1808/2012 CORTE APPELLO di ANCONA, del 29/03/2013 visti gli atti, la sentenza e il ricorso udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/03/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. E.G.S.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza pronunciata il 29.03.2013 la Corte d'Appello di Ancona ha confermato la sentenza in data 3.04.2012 con cui il Tribunale di Fermo, Sezione distaccata di S. Elpidio a Mare, aveva condannato l'imputata P. I. alla pena di giorni 20 di arresto, previa concessione delle attenuanti generiche, per l'inottemperanza al foglio di via obbligatorio emesso nei suoi confronti dal Questore di Ascoli Piceno, accertata il 26.04.2010.

L'ordine di allontanamento dal territorio del Comune di Porto S. Elpidio era stato emesso perché la donna vi esercitava la prostituzione in strada, in zone abitate e in orario serale, adescando i clienti sulla pubblica via, con conseguente possibilità di incontro con minorenni e di consumazione di rapporti sessuali in luoghi tali da rendere possibile l'integrazione del reato di cui all'art. 527 cod. pen..

2. Ricorre per Cassazione P. I., a mezzo del difensore, deducendo come unico motivo di doglianza vizio di motivazione della sentenza impugnata, in relazione all'assenza di accertamento concreto della pericolosità dell'imputata e dunque della sua appartenenza a una delle categorie di soggetti destinatari di foglio di via, tale da imporre la disapplicazione del provvedimento amministrativo la cui violazione era stata ritenuta idonea a integrare il reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato e il suo accoglimento comporta l'immediata declaratoria, ex art. 129 cod. proc. pen., della causa di non punibilità rappresentata dall'insussistenza del fatto, che emerge in modo evidente dal testo della sentenza impugnata.

2. La misura di prevenzione del foglio di via obbligatorio è stata emessa nei riguardi della ricorrente sul presupposto della sua appartenenza, in qualità di prostituta esercente il meretricio sulla pubblica via, alla categoria di soggetti socialmente pericolosi individuati dall'art. 1 n. 3 della legge n. 1423 del 1956 (ora art. 1 comma 1 lett. c) D.Lgs. n. 159 del 2011): come è già stato ripetutamente chiarito, anche di recente, da questa Corte (Sez. 1 n. 4426 del 5.12.2013, imp. Tabacu), a seguito della modifica introdotta nel testo originario della norma dall'art. 2 della legge n. 327 del 1988, agli effetti dell'inclusione in tale categoria di soggetti non basta (più) il mero svolgimento abituale di attività contrarie alla morale pubblica e al buon costume (nelle quali si fa tradizionalmente rientrare l'esercizio della prostituzione), ma è necessario che il soggetto, per il suo comportamento e sulla base di elementi di fatto, debba ritenersi dedito alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica. La commissione di reati, che offendano o creino turbamento ai beni giuridici appena indicati, da parte del soggetto destinatario della misura (e non da parte di altri, diversi, soggetti, che favoriscano la sua attività di meretricio o ne traggano profitto, come si verifica nel caso delle condotte punite dall'art. 3 legge n. 75 del 1958) costituisce, dunque, il presupposto dell'appartenenza alla categoria di persone nei cui confronti è legittimo formulare il giudizio di pericolosità che giustifica l'applicazione del foglio di via obbligatorio; ed è pacifico che il mero fatto dell'esercizio della prostituzione, da parte del soggetto che la pratichi, non costituisce - in sé - reato (che potrebbe invece essere integrato da specifiche modalità di estrinsecazione dell'offerta del proprio corpo o di consumazione degli atti sessuali, che siano di per sé idonee a realizzare una figura tipica di reato, come quella di cui all'art. 527 cod. pen.). A seguito della novella di cui alla legge n. 327 del 1988, pertanto, la prostituta non può più essere inquadrata - in quanto tale - in una delle categorie di persone di cui l'art. 2 D.Lgs. n. 159 del 2011 consente, in presenza di un giudizio di pericolosità per la sicurezza pubblica, l'allontanamento obbligatorio dal comune in cui esercita il meretricio e il rientro coatto nel luogo di residenza: il provvedimento del Questore di Ascoli Piceno nei riguardi dell'imputata, in quanto basato su elementi oggettivamente inidonei a configurare concreti estremi di reato nella condotta della prostituta (che non possono essere ravvisati nel solo fatto di adescare i clienti stazionando sulla pubblica via, in prossimità di abitazioni civili, con atteggiamento che definire scandaloso costituisce null'altro che una tautologia), e che si risolvono in definitiva nel mero esercizio della prostituzione - non facendo la sentenza impugnata riferimento ad alcun episodio specifico di consumazione di rapporti sessuali con minori o in presenza di essi, o secondo modalità tali da violare l'art. 527 cod. pen. (nel caso di specie soltanto ipotizzate, ma non concretamente accertate) - non è perciò idoneo a integrare il presupposto della violazione contestata di cui all'art. 2 legge n. 1423 del 1956 (ora art. 76 comma 3 D.Lgs. n. 159 del 2011), dalla quale la ricorrente doveva essere assolta per insussistenza di uno degli elementi costitutivi del reato, con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

Così deciso il 4/03/2015.

 

 

Scritto il 29 marzo 2015

 

 

 

 

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