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UN’ALTRA LUCCIOLA GRAZIATA DAL TAR

 

 

Un’altra lucciola è stata graziata dal Tribunale Amministrativo Regionale di Milano. Secondo la detta istituzione giudicante, nel provvedimento della Questura del capoluogo lombardo mancano le motivazioni che possano giustificare il relativo decreto dell’autorità di pubblica sicurezza ai sensi della Legge 1423/1956. Bisogna anche tenere conto, spiega la Sentenza in questione, che l’esercizio della prostituzione tra maggiorenni non costituisce reato per la norma italiana ed il meretricio sulla strada non può costituire una pubblica insicurezza, nemmeno per la viabilità se questo viene svolto in area industriale. Forse, quest’ultimo rilevamento potrebbe anche invalidare le varie Ordinanze Sindacali sulla Sicurezza Urbana che contrastano la prostituzione sulle vie in “tutto il territorio comunale”.

 

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

 

(Sezione Terza)

 

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

 

ex art. 21 e 26 della legge 1034/71 e successive modifiche e integrazioni, Sul ricorso numero di registro generale 1629 del 2009, proposto da: Y. K., rappresentata e difesa dall’avv. F. C., presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Milano, (Omissis);

 

contro

 

QUESTURA DI MILANO - MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, presso cui è domiciliato ex lege in Milano, (omissis)

 

per l’annullamento

 

previa sospensione dell'efficacia,

 

- del provvedimento n. 15437/Q22/08/Div.Ant./MP2 emesso in data 9 giugno 09, notificato in data 19 giugno 2009, con cui il Questore della Provincia di Milano ha disposto nei confronti della ricorrente il rimpatrio con foglio di via obbligatorio al Comune di residenza di Milano, con divieto di fare ritorno nei Comuni di Melegnano e Carpiano, senza la preventiva autorizzazione, per un periodo di anni tre;

- nonché di ogni atto presupposto, connesso e consequenziale;

 

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Questura di Milano;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 09/07/2009 il dott. D. S. e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Avvisate le stesse parti ai sensi dell'art. 21 decimo comma della legge n. 1034/71, introdotto dalla legge n. 205/2000;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

 

FATTO e DIRITTO

 

1. Ritiene, preliminarmente, il Collegio che il giudizio possa essere definito con sentenza in forma semplificata emessa, ai sensi dell'art. 26 l. 6.12.1971 n. 1034, come modificato dall'art. 9 l. 21.07.2000 n. 205, adottata in esito alla camera di consiglio per la trattazione dell'istanza cautelare, stante l'integrità del contraddittorio, l’avvenuta esaustiva trattazione delle tematiche oggetto di giudizio, nonché la mancata enunciazione di osservazioni oppositive delle parti, rese edotte dal Presidente del Collegio di tale eventualità.

2. La ricorrente con ricorso ritualmente e tempestivamente notificato ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe con il quale il Questore della Provincia di Milano ha disposto nei suoi confronti la diffida dal fare ritorno nei Comuni di Melegnano e Carpiano per un periodo di tre anni senza preventiva autorizzazione.

3. Il Collegio, ribadendo il proprio consolidato orientamento giurisprudenziale, ritiene il provvedimento illegittimo per i seguenti motivi.

I casi previsti dall’art. 1 Legge 27 dicembre 1956 n. 1423, nel testo modificato dalla Legge 3 agosto 1988 n. 327, per l’adozione del provvedimento di rimpatrio coattivo con foglio di via obbligatorio, sono tassativi. La legge impone all’amministrazione l’obbligo della motivazione sia sull’appartenenza del destinatario dell'ordine ad una delle categorie di cui all'art. 1 n. 3, l. n. 1423 del 1956 sia sulla pericolosità sociale del soggetto. Il principio di legalità, dunque, assolutamente esclude che l’ordine dell’Autorità possa incidere sulle libertà personali in assenza dei presupposti normativi ed al fine di espungere dal territorio talune manifestazioni di irregolarità sociale e malcostume.

Nella specie, l’amministrazione, non ha assolto l’onere dell’indicazione degli elementi di fatto sui quali si basa il giudizio sull’appartenenza ad una delle suddette categorie ed, altresì, delle ulteriori circostanze inerenti l’attuale pericolosità sociale, non potendosi postulare una coincidenza automatica tra quell’appartenenza, che denota una pericolosità potenziale, e la concreta e attuale pericolosità del soggetto.

Deve rilevarsi, infatti, che la prostituzione, di per sé non costituisce un reato e non può, quindi, essere l’indice di una vita che fondi i propri mezzi di sussistenza sui ricavi di un’attività penalmente criminosa.

Al pari, appare incongruo il rilievo secondo cui l’attività di prostituzione, determini la messa in pericolo della sicurezza pubblica (in particolare, “creando pericolo ed intralcio alla circolazione stradale”) e della tranquillità pubblica, senza alcuna precisazione che evidenzi l’accertamento di una concreta e specifica pericolosità desunta da un determinato comportamento, tenuto altresì conto che l’asserito luogo della prostituzione si trova ben fuori l’abitato cittadino, ovvero in zona industriale.

Da ultimo, non è dato comprende il significato giuridico del riferimento alla circostanza secondo cui la ricorrente “è stata indagata per rapina, lesioni personali e minacce”. Invero, il provvedimento non specifica: se è stata esercitata l’azione penale e sia in corso il procedimento penale, se quest’ultimo si sia invece concluso (alternativamente, con una archiviazione o con la richiesta di rinvio a giudizio), se alcuna azione penale è stata esercitata e si faccia riferimento unicamente alla denuncia presso l’Autorità giudiziaria; difetta, inoltre, qualunque accenno alle fonti di prova raccolte. Senza alcun dubbio, anche qui, la genericità dell’espressione utilizzata ridonda nel vizio di difetto di motivazione giacché, non rendendo di pubblica evidenza le ragioni poste a fondamento dell’azione amministrativa, ostacola il diritto difesa ed impedisce il corretto sindacato del Giudice e, prima ancora, della Comunità.

4. Le spese di lite seguono la soccombenza come di norma. Resta, inoltre, salvo l’onere di cui all’art. 13 d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo integrato dal comma 6 bis dell’art. 21 d.l. 223 del 2006, come modificato dalla legge di conversione n. 248 del 2006, a carico della parte soccombente.

 

P.Q.M.

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe:

Accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla i provvedimenti indicati in epigrafe;

Condanna l’amministrazione resistente al pagamento delle spese di lite in favore della ricorrente che si liquida in € 700,00, oltre IVA e CPA come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 09/07/2009 con l'intervento dei Magistrati:

D. G., Presidente

D. S., Referendario, Estensore

F. F., Referendario

Sentenza TAR Lombardia Milano del 23 luglio 2009, n. 4420.

 

 

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 23/07/2009

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

IL SEGRETARIO

 

 

 

 

 

 

Scritto il 27 agosto 2009

 

 

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