LUCCIOLA UE ESPULSA E GRAZIATA DAL TAR
In
quest’occasione, si deve rilevare che una prostituta stradale diurna, cittadina
di uno Stato membro dell’Unione Europea, esercitante nell’area milanese, ha
subito un decreto d’allontanamento dall’Italia per grave pericolosità sociale (art. 20 D.lgs. 30/2007), poiché secondo
la Prefettura corrispondente, la medesima esercitava il meretricio sulla
pubblica via in orario giornaliero. Con tale unica striminzita motivazione,
sapendo che il mestiere di prostituta in Italia non è reato ed è oltretutto
permesso sulla comune strada, se non si compiono atti concreti a danno della
collettività (Legge 20 febbraio 1958, n. 75 “Merlin”),
tanto da essere fin troppo lungi dai gravi motivi di pubblica sicurezza,
previsti per il succitato allontanamento di cittadini dell’UE, la stessa
lucciola ha deciso di ricorrere contro il suddetto provvedimento d’espulsione,
il quale avrebbe allontanato la medesima donna dall’Italia per ben 5 anni. Di
conseguenza, il TAR di Milano con la
Sentenza n. 1061/2018 ha accolto
tale causa, annullando il connesso provvedimento della Prefettura del Capoluogo
lombardo.
Naturalmente,
questa situazione ha proprio del quasi incredibile, visto e considerato che le
dette motivazioni dell’allontanamento in questione sono palesemente
infondate!
Si elenca di
seguito il testo della summenzionata pronuncia.
Pubblicato
il 20/04/2018
N. 01061/2018 REG.PROV.COLL.
N. 00581/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo
Regionale per la Lombardia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul
ricorso numero di registro generale 581 del 2018, proposto da (omissis), rappresentato e difeso
dall'avvocato R. P. d. A., con domicilio digitale come da PEC Reginde e domicilio eletto presso il suo studio in (omissis);
contro
Ministero
dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e
difeso ex lege dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata in
Milano, alla (omissis);
per
l'annullamento
previa
sospensione, del decreto di allontanamento per motivi afferenti all'ordine
pubblico ai sensi dell'art. 20, c.1 e ss. del d.lgs. 30/2007, prot. 1756/2018
emesso dal Prefetto della Provincia di Milano in data 18/01/2018 e notificato
il 18/01/2018.
Visti
il ricorso e i relativi allegati;
Visti
l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Visti
tutti gli atti della causa;
Relatore,
nella Camera di Consiglio del giorno 21 marzo 2018, Rocco Vampa e uditi per le
parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto
e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con
il gravame in epigrafe la sig.ra (omissis)
impugna il provvedimento emesso dal Prefetto di Milano in data 18 gennaio 2018
con cui veniva disposto, a’ sensi “dell’art. 20, c. 1 e ss. del D.Lgs. 30/2007”, l’allontanamento dal territorio
nazionale della ricorrente “per motivi afferenti l’ordine pubblico”.
Il
radicale provvedimento de quo veniva adottato dall’Autorità tenendo
conto:
- del
fatto che la ricorrente fosse stata “più volte rintracciata mentre dedita
all’attività di meretricio” e che “i comportamenti tenuti e i reati
commessi ingenerano la ragionevole presunzione che la predetta possa compierne
di ulteriori”;
-
che, dunque, “l’ulteriore permanenza sul territorio nazionale
dell’interessata è incompatibile con la civile e sicura convivenza, avendo dato
luogo ad una condotta che è pregiudizievole per l’ordine pubblico, in quanto i
fatti a lei addebitati sono sintomatici di comportamenti non compatibili
nemmeno con la volontà di inserirsi ordinatamente e pacificamente nella
comunità nazionale”.
Avverso
il detto provvedimento, adottato peraltro in via d’urgenza ex art. 20,
comma 10, d.lgs. 30/07, insorge la ricorrente, a motivi del gravame
essenzialmente deducendo:
-
Violazione e falsa applicazione artt. 29 e 31 T.U. sull’immigrazione, 3, comma
1, Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, 29 e 30 Cost., 8
CEDU – Eccesso di potere per difetto di motivazione, travisamento dei
presupposti di fatto e di diritto, avendo l’Amministrazione non tenuto in
debita considerazione il fatto che: la ricorrente “non risulta gravata da
precedenti penali”; è madre di un figlio minore regolarmente iscritto
presso una scuola primaria sita nel comune di Rho; in ogni caso, la condotta
contestata non integrerebbe fattispecie delittuose; infine, in ragione del “diritto
all’unità familiare”, la ricorrente prospetta la possibilità di validamente
invocare il rilascio di “un permesso di soggiorno per motivi familiari,
convertibile, in permesso di lavoro” (pagg 8-9, ricorso introduttivo).
Si è
costituito con controricorso il Ministero dell’Interno che ha eccepito in
primis il difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo, giusta il
disposto dell’art. 30, comma 6, del T.U. sull’immigrazione, chiedendo in ogni
caso la reiezione nel merito del ricorso, avendo l’Amministrazione “considerato
tutti gli elementi rilevanti ai fini dell’applicazione del principio di
proporzionalità stabilito dall’art. 20 D.L.vo
6.2.2007, n. 30”.
Nella
Camera di Consiglio del 21 marzo 2018, accertata la completezza del
contraddittorio e dell’istruttoria e sentite sul punto le parti costituite, la
causa è stata introitata per la decisione in forma semplificata ex art.
60 c.p.a..
DIRITTO
Il
ricorso, la cui disamina rientra nello spettro di attribuzione del giudice
amministrativo, è fondato nei limiti in appresso specificati.
1.
Va, in limine, disattesa la eccezione di difetto di giurisdizione
formulata dal Ministero resistente. E, invero, l’ordine di allontanamento per
cui è causa è stato ex professo adottato “per motivi afferenti
l’ordine pubblico” ai sensi dell’art. 20, comma 1, d.lgs. 30/07.
Trattasi,
indi, di fattispecie provvedimentale che rientra appieno nel paradigma
contemplato all’art. 22, comma 1, del medesimo d.lgs. 30/07, a mente del quale
“Avverso i provvedimenti di allontanamento per motivi di sicurezza dello
Stato o per motivi di ordine pubblico di cui all’articolo 20, comma 1, la
tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo è disciplinata dal
codice del processo amministrativo”.
La
cognizione del gravato provvedimento di allontanamento, indi, è affidata alla potestas iudicandi
di questo TAR, come d’altra parte correttamente indicato dalla Autorità
emanante in calce ad esso provvedimento.
2.
Nel merito, valga anzitutto effettuare una breve ricognizione dell’impianto
normativo su cui pretenderebbe sorreggersi l’ordine di allontanamento gravato.
2.1.
Il d.lgs. 30/2007, costituente attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa
al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di
soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, disciplina le “modalità
di esercizio del diritto di libera circolazione, ingresso e soggiorno nel
territorio dello Stato” e, tra l’altro e per quel che qui interessa, “le
limitazioni ai diritti (…) per motivi di ordine pubblico e di pubblica
sicurezza”.
All’art.
20 del d.lgs. 30/2007, in conformità delle prescrizioni di cui all’art. 27
della direttiva 2004/38, è testualmente dato leggere che:
- “(…)
il diritto di ingresso e soggiorno dei cittadini dell’Unione o dei loro
familiari, qualsiasi la loro cittadinanza, può essere limitato con apposito provvedimento
solo per: motivi di sicurezza dello Stato; motivi imperativi di pubblica
sicurezza; altri motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza” (comma
1);
- “I
provvedimenti di allontanamento sono adottati nel rispetto del principio di
proporzionalità e non possono essere motivati da ragioni di ordine economico,
né da ragioni estranee ai comportamenti individuali dell’interessato che
rappresentino una minaccia concreta, effettiva e sufficientemente grave
all’ordine pubblico o alla pubblica sicurezza. L’esistenza di condanne penali
non giustifica di per sé l’adozione di tali provvedimenti” (comma 4);
- “Nell’adottare
un provvedimento di allontanamento, si tiene conto della durata del soggiorno
in Italia dell’interessato, della sua età, della sua situazione familiare ed
economica, del suo stato di salute, della sua integrazione sociale e culturale
nel territorio nazionale e dell’importanza dei suoi legami con il Paese di
origine” (comma 5).
2.2. E’ l’ordine pubblico, indi, (unitamente alla pubblica sicurezza)
il bene protetto dalla norma: la esigenza di evitare un vulnus, ovvero
una minaccia effettiva e seria, all’ordine pubblico vale a giustificare
l’attribuzione della potestas di
allontanamento.
Tuttavia,
secondo il consolidato insegnamento della Corte di Giustizia UE, le regole di
ordine pubblico e di pubblica sicurezza che gli Stati membri determinano
conformemente alle loro necessità nazionali, proprio in quanto legittimanti una
deroga al principio fondamentale della libera circolazione delle persone,
devono “essere intese in senso restrittivo, di guisa che la loro portata non
può essere determinata unilateralmente da ciascuno Stato membro senza il
controllo delle istituzioni dell’Unione europea” (CGUE, 22 maggio 2012, n.
C-348/09).
Ancora
da ultimo, si è ribadito che “l’eccezione attinente all’ordine pubblico
costituisce una deroga al diritto di soggiorno dei cittadini dell’Unione o dei
loro familiari, da intendersi in modo restrittivo e la cui portata non può
essere determinata unilateralmente dagli Stati membri” (CGUE, 13 luglio
2017, causa C-193/16; 13 settembre 2016, C-165/14).
D’altra
parte, l’art. 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 (di cui il d.lgs. 30/07
costituisce attuazione) “subordina qualsiasi provvedimento di allontanamento
alla circostanza che tale comportamento rappresenti una minaccia reale ed
attuale per un interesse fondamentale della società o dello Stato membro
ospitante” (CGUE, 13 luglio 2017, C-193/16, cit.), espressamente
prevedendo, altresì, che “giustificazioni estranee al caso individuale o
attinenti a ragioni di prevenzione generale non sono prese in considerazione”.
2.2.1.
Ora, la nozione di ordine pubblico che qui viene in rilievo è quella che nel
nostro ordinamento è stata tratteggiata dalle leggi di pubblica sicurezza e
che, già a far data dalla legge n. 2248/1865, all. B,
ha legittimato specifici interventi della Autorità quali lo scioglimento delle
riunioni, la sospensione o la cessazione degli spettacoli, l’espulsione degli
stranieri. Anche l’assetto costituzionale, di poi, contempla l’ordine pubblico
–ai fini che ci occupano, di sicurezza e incolumità pubblica- quale:
-
ordine pubblico “materiale”, inteso quale complesso delle condizioni idonee ad
assicurare l’ordinata e pacifica convivenza civile;
-
limite all’esercizio delle libertà di riunione e di circolazione (artt. 16 e 17
Cost.), id est proprio di quelle libertà che presuppongono la
compresenza e il contatto tra più persone ed il cui esercizio necessariamente è
suscettibile di incidere sulla convivenza dei consociati.
La
necessità di preservare l’ordine “materiale” - evitando che l’esercizio di
talune libertà dia luogo a situazioni di disordine idonee a minacciare la pace,
la sicurezza e la pubblica incolumità – giustifica l’attribuzione di poteri
autoritativi idonei a limitare, conformare ovvero inibire l’esplicazione di
quelle libertà.
2.2.2.
Ne discende la estraneità della nozione di ordine pubblico, siccome
tratteggiata, rispetto ad altre situazioni di libertà, che non implicano la
presenza e il contatto con sfere giuridiche “terze”, e che si esplicano
preminentemente nella sfera individuale (es.: libertà religiosa, libertà di
manifestazione del pensiero, con i correlati convincimenti di ordine etico,
morale, culturale).
2.3.
Ciò premesso circa la natura dell’ordine pubblico di “polizia” che qui viene in
rilievo, nella fattispecie appare evidente la inesistenza nel corpo del
provvedimento impugnato di un circostanziato giudizio circa la attitudine della
condotta “contestata” alla ricorrente a rappresentare “una minaccia
concreta, effettiva e sufficientemente grave all’ordine pubblico” (art. 20,
comma 4, d.lgs 30/07) ovvero “una minaccia reale,
attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale
della società” (art. 27, par. 2, dir. 2004/38; cfr., le decisioni della
Corte di Lussemburgo sopra citate).
2.3.1.
Il mero esercizio dell’attività di meretricio, invero, non mai vale ad
infrangere precetti di matrice penalistica e, dunque, costituisce condotta che ex
se giammai può giustificare l’adozione del grave provvedimento di ablazione
personale per cui è causa.
Si è
ripetutamente affermata, in fattispecie analoghe, la illegittimità di misure inibitorie
ovvero preclusive all’ingresso o alla permanenza nel territorio nazionale
(misura di prevenzione del cd. foglio di via obbligatorio, consistente nel
divieto di soggiornare e circolare nel territorio di alcuni comuni senza la
preventiva autorizzazione per un periodo di tre anni; diniego del rilascio o
del rinnovo del permesso di soggiorno sul presupposto della pericolosità
sociale della istante) fondate sull’esclusivo presupposto dell’esercizio
dell’attività di meretricio.
E ciò
in quanto trattasi di condotta che, quand’anche posta in essere in orario
diurno e sulla pubblica via, non costituisce reato e non è, di per sé sola,
idonea ad arrecare pericolo alla pubblica sicurezza o all’ordine pubblico
(cfr., e pluribus, la decisione di questa Sezione, 9 settembre 2015, n.
1954; solo da ultimo, e in senso analogo, TAR Liguria, II, 12 marzo 2018, n.
218; TAR Campania, VI, 27 gennaio 2017, n. 3917).
2.3.2.
Di talché lo svolgimento di tale attività non consente di ricondurre
l’interessata ad una delle categorie di persone indicate dalla normativa in
materia di misure di prevenzione (TAR, Calabria, Catanzaro, I, 301/2013; TAR
Lombardia, 32/2010) quali “soggetti passivi” di esse misure.
2.3.3.
L’orientamento sopra riportato assume vieppiù significanza nel caso di specie,
atteso che financo la esistenza di “condanne penali non giustifica di per sè l’adozione” degli ordini di allontanamento de quibus (art. 20, comma 4 ultimo periodo, d.lgs. 30/07;
art. 27, par. 2, direttiva 2004/38).
Il provvedimento impugnato, lungi dal dare contezza di
elementi e circostanze “ulteriori” e sintomatiche di una effettiva e seria
minaccia all’ordine pubblico nascente dai comportamenti ascritti alla
ricorrente, si limita a qualificare l’attività di meretricio nei termini di “condotta
che è pregiudizievole per l’ordine pubblico”, senza la indicazione di
nessun altro elemento di fatto né, tanto meno, di precedenti condanne penali a
carico della ricorrente.
2.4. Costituisce dato ricevuto, di contro, quello in
forza del quale un giudizio di pericolosità sociale della specie di quello che
ci occupa –all’esito del quale, peraltro, deve reputarsi la esistenza di una
minaccia concreta, effettiva e sufficientemente seria all’ordine pubblico ex
art. 20, comma 4, d.lgs. 30/07 e, dunque, ad un interesse fondamentale dello
Stato membro ai sensi della direttiva 2004/38- non può che fondarsi su una
congerie di circostanze fattuali, valutate e ponderate non in guisa
“parcellizzata”, bensì nel loro significato complessivo. Di guisa da consentire
di lumeggiare la effettiva latitudine e gravità, sia da un punto di vista
oggettivo che soggettivo, del contegno riferibile all’interessato e la sua
concreta attitudine ad arrecare un sensibile nocumento, ovvero a mettere in
pericolo o a minacciare l’integrità del bene protetto.
Ebbene di tale complessiva valutazione, e delle
circostanze di fatto sulle quali avrebbe dovuto essere condotta, non v’è
traccia nel provvedimento in esame che avrebbe, anche in ragione della gravità
delle conseguenze che ne discendono, richiesto un adeguato ed esaustivo
apparato motivazionale.
2.5.
Anche la documentazione depositata dalla difesa erariale in sede di
costituzione non è decisiva, emergendo meri “precedenti di polizia” – e
non mai provvedimenti giurisdizionali a carico della ricorrente- peraltro assai
risalenti nel tempo (l’ultimo dei quali riferibile al 2009) e non
circostanziati dai successivi sviluppi investigativi, e come tali inidonei ad
esprimere una minaccia concreta, attuale e grave all’ordine pubblico.
2.6.
D’altra parte, anche la inusitata scansione temporale che ha connotato il
provvedimento - con un decreto di allontanamento adottato e notificato alla
ricorrente “ad horas”, id est alle ore
9:10 del 18 gennaio 2018 a fronte della “identificazione” avvenuta la sera
precedente, intorno alle ore 22:10 – è sintomatica della carenza di istruttoria
che, unitamente alle correlate lacune motivazionali, inficia il gravato
provvedimento.
2.7.
Il provvedimento si appalesa, infine, illegittimo anche sotto altro rilevante
aspetto, essendo stato assunto, ad onta di quanto affermato nel preambolo:
- in
violazione del principio di proporzionalità che, per contro, è espressamente
sancito all’art. 20, comma, 4 del d.lgs. 30/07 e all’art. 27, par. 2, della
direttiva 2004/38;
-
senza alcuna valutazione degli elementi e delle circostanze all’uopo
“tipizzate” dal legislatore nazionale sulla scia della normazione
sovranazionale (art. 20, comma 5 d.lgs. 30/07, art. 28, par. 2, dir. 2004/38:
situazione familiare e economica, durata del soggiorno, età, stato di salute,
integrazione sociale e culturale nello Stato ospitante, importanza dei legami
con il Pese d’origine).
In
particolare, non è stata tenuta in debita considerazione la “situazione familiare”
della ricorrente che, coniugata con una persona in possesso della cittadinanza
italiana, è madre di un figlio minore di anni 8, regolarmente iscritto presso
un istituto scolastico di Rho e ivi regolarmente frequentante le lezioni (cfr.,
documentazione versata in atti); la peculiarità della situazione ha indotto la
ricorrente ad esperire avanti il Tribunale dei minorenni ricorso ex art.
31 d.lgs. 286/98, volto al rilascio della autorizzazione alla permanenza in
Italia “per gravi motivi connessi alla tenera età del minore”.
La
illegittimità del provvedimento impugnato emerge, indi, anche sotto tale ultimo
aspetto, non avendo l’Autorità effettuato alcuna valutazione circa la
consistenza degli interessi familiari della ricorrente e di quelli del figlio minore;
di qui la violazione del generale principio di proporzionalità, oltre che delle
puntuali prescrizioni di cui all’art. 20, commi 4 e 5, del d.lgs. 30/07.
3. Le
suesposte considerazioni conducono all’accoglimento del gravame e, per
l’effetto, alla caducazione del decreto di allontanamento.
Di
contro, le osservazioni espresse alle pagg. 8-9 del ricorso, relative alla
presunta “sussistenza dei requisiti per il rinnovo del permesso di soggiorno”,
e le conclusioni ivi rassegnate volte ad ottenere l’ordine “all’UTG,
Prefettura di Milano, di emettere provvedimento di rinnovo per motivi familiari”
esulano dall’odierno thema decidendum e non sfuggono ad un giudizio di
inammissibilità, atteso che:
- non
è, all’uopo, ancora stato esercitato alcun potere da parte dell’Amministrazione
(art. 34, comma 2, c.p.a.) e, anzi, dalla ricorrente
non è stata allegata neanche la presentazione di apposita istanza volta al
rilascio dell’agognato titolo di soggiorno;
- in
ogni caso, il (futuro ed eventuale) provvedimento relativo al permesso di
soggiorno per motivi familiari, al pari dei tutti gli altri provvedimenti
dell’Autorità in materia di diritto all’unità familiare, sarà conoscibile
unicamente dal giudice ordinario in virtù dell’art. 30, comma 6, d.lgs. 286/98.
Sussistono
giuste ragioni, tenuto conto della parziale inammissibilità delle domande
veicolate con il gravame, per compensare tra le parti le spese di lite, fermo
restando l’obbligo per il Ministero di procedere al rimborso del contributo
unificato corrisposto dalla ricorrente (art. 13, comma 6-bis.1., DPR 30
maggio 2002, n. 115).
P.Q.M.
Il
Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima),
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo
accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla il
provvedimento di allontanamento emanato dal Prefetto di Milano.
Dichiara
inammissibile la domanda volta alla emanazione di un ordine di rilascio del
rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari.
Compensa
tra le parti le spese di lite, fermo restando l’obbligo per l’Amministrazione
resistente di procedere al rimborso del contributo unificato in favore della
ricorrente (art. 13, comma 6-bis.1., DPR 115/02).
Ordina
che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto
che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003
n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda
alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi
altro dato idoneo ad identificare parte ricorrente.
Così
deciso in Milano, nella Camera di Consiglio del giorno 21 marzo 2018, con
l'intervento dei signori magistrati:
A. D. Z., Presidente
S. C., Consigliere
R. V., Referendario, Estensore
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L'ESTENSORE |
IL PRESIDENTE |
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R. V. |
A. D. Z. |
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IL SEGRETARIO
In caso di diffusione omettere le generalità
e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Scritto il 28 aprile 2018